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Il primo ministro dimissionario, Shigeru Ishiba Il primo ministro dimissionario, Shigeru Ishiba  (ANSA)

Giappone, si dimette il primo ministro Ishiba

L'ex ministro della Difesa si dimette dopo neppure un anno di incarico. Stretta nella morsa dell'inflazione, in particolare del riso, dei dazi americani e delle divisioni interne, la politica nipponica si prepara ora a una fase caotica e instabile. In attesa di sapere chi sarà il nuovo leader dei liberaldemocratici, la destra nazionalista avanza

Guglielmo Gallone - Città del Vaticano

Il primo ministro giapponese, Shigeru Ishiba, ha annunciato domenica la sua intenzione di dimettersi dopo neanche un anno dal suo insediamento alla guida del Paese. La decisione è giunta al termine di intensi colloqui tenuti sabato sera con l’ex premier nipponico, Yoshihide Suga, e con il ministro dell’Agricoltura, Shinjiro Koizumi, due tra i suoi alleati più stretti. Secondo fonti interne al Partito liberal democratico (LDP), Suga e Koizumi avrebbero spinto Ishiba a fare un passo indietro per evitare una frattura ormai insanabile all’interno del partito di governo: la tensione è salita alle stelle dopo la sconfitta subìta alle elezioni per la Camera alta di luglio, la seconda in meno di un anno, che ha accelerato la perdita di consenso e di autorità di Ishiba, aprendo così la strada a una resa dei conti interna.

Cosa succederà ora

I liberaldemocratici si preparano dunque ad avviare il processo per scegliere il successore di Shigeru Ishiba, sia come primo ministro sia come leader del partito. Secondo quanto anticipato dal quotidiano Yomiuri Shimbun, i dirigenti del LDP, riunitisi a Tokyo all’indomani dell’annuncio delle dimissioni, hanno raggiunto un accordo per adottare la cosiddetta “full spec”, una formula che prevede una consultazione nazionale aperta non solo ai parlamentari bensì a tutti gli iscritti. L’obiettivo sembrerebbe fissare la data del voto per il 4 ottobre, così da garantire un processo ampio e partecipato, che possa legittimare pienamente il nuovo leader del partito e del Paese. La decisione formale sarà presa martedì 9 settembre dalla direzione e dalla commissione elettorale del partito, aprendo ufficialmente la campagna elettorale che si preannuncia intensa e segnata da divisioni profonde. Tra i nomi in pole position spiccano Sanae Takaichi, ex ministra per la sicurezza economica e voce della destra nazionalista, e il già citato ministro dell'Agricoltura Koizumi, figlio dell'ex leader giapponese Junichiro Koizumi.

Tra politica estera e questioni interne

Nel frattempo, però, il partito non potrà non tenere conto dei fattori che hanno portato alla caduta dello stesso Ishiba. Certo, da un lato ci sono le questioni strettamente politiche che hanno progressivamente eroso la leadership del partito - come dimostrato dal fatto che, dopo la morte di Abe Shinzo, esso è stato incapace di esprimere una nuova figura gradita e duratura. Sul fronte interno, il colpo più duro è stato la sconfitta alle elezioni per la Camera alta di luglio, quando il LDP e il partner di coalizione Komeito hanno perso la maggioranza parlamentare per la prima volta dal 1955. Questo risultato ha scatenato un’ondata di critiche interne e ha indebolito la posizione di Ishiba, già fragile per via di una base di sostegno limitata. Sul fronte estero, uno dei dossier più delicati riguarda i rapporti con Washington. Nei giorni scorsi, secondo quanto riportato dal Nikkei, sono emersi nuovi dettagli sull’accordo commerciale tra Stati Uniti e Giappone: la riduzione dei dazi americani sulle merci giapponesi sarebbe stata concessa solo in cambio di una promessa di investimenti da 550 miliardi di dollari, da realizzare entro gennaio 2029, con la particolarità che sarà lo stesso presidente Usa, Donald Trump, a decidere in quali settori allocare tali fondi. Un meccanismo che, se da un lato offre a Tokyo un vantaggio immediato, dall’altro espone il Paese a una forte dipendenza dall’amministrazione statunitense. Non è chiaro, inoltre, se i termini di questo accordo resteranno validi dopo il cambio di governo a Tokyo. Ma non è solo il fronte commerciale ad aumentare l'incertezza: a Washington circolano inoltre voci di insoddisfazione da parte del presidente per la lentezza con cui Tokyo sta incrementando la propria spesa per la difesa. Il Giappone non ha ancora avviato una revisione ufficiale della Strategia di difesa nazionale e del Programma di potenziamento della difesa, documenti che definiscono le priorità militari e il relativo bilancio.

Non è solo una questione economica: il prezzo del riso

Dall’altro lato, ci sono le questioni più concrete e popolari, che hanno contribuito in modo decisivo a incrinare il rapporto di fiducia tra governo e popolo. In primo piano c’è l’economia, con due problemi che, più di altri, hanno dominato il dibattito pubblico: l’inflazione e il deprezzamento dello yen. L’aumento dei prezzi ha colpito duramente i consumatori, ma nessun bene ha assunto un valore simbolico quanto il "kome", il riso, alimento centrale tanto nella dieta nazionale quanto nella cultura nipponica, ancor più dopo il 2013, anno in cui il Washoku, la cucina tradizionale giapponese, è stato inserito nel patrimonio Unesco. Nonostante gli sforzi del governo, il prezzo del riso ha continuato a crescere per settimane fino a raggiungere livelli record nelle regioni in cui viene prodotto, come Niigata e Yamagata. Le difficoltà nella gestione delle scorte, tra ritardi logistici e stime sbagliate sulla domanda, hanno aggravato la percezione di incertezza, alimentando il grande timore di essere costretti a rimediare con importazioni dall'estero, impensabile per i giapponesi. Il malcontento è cresciuto soprattutto tra i ceti medi e popolari, che hanno visto diminuire il proprio potere d’acquisto, mentre lo yen continuava a perdere valore sui mercati internazionali. Questa combinazione di fattori ha alimentato la sensazione di un distacco sempre più netto tra la politica e i bisogni reali della popolazione, trasformando la crisi economica in una crisi di rappresentanza. Il risultato è stato un crollo di credibilità della politica giapponese, che non ha risparmiato nessuna forza politica tradizionale: non solo il LDP ha perso consensi, ma anche il principale partito di opposizione, il CDPJ (Partito costituzionale democratico del Giappone, centro-sinistra), non è riuscito a guadagnare seggi.

L'avanzata della destra nazionalista: il fenomeno Sanseito

A beneficiare di questa situazione sono stati, in proporzione, due partiti che hanno fatto leva su una retorica populista: il Sanseito, di estrema destra, e il DPFP (Partito pemocratico per il popolo, centro-destra). In particolare, l’avanzata del Sanseito ha segnalato l’ingresso in scena di una destra radicale con un messaggio chiaro: “Japan First”. Quindi, la promessa di fermare quella che definisce una “invasione silenziosa” di stranieri. Si tratta di una tendenza che, ben radicata in altri Paesi occidentali, ha forti connotazioni polarizzanti. Nato solo cinque anni fa, Sanseito alle ultime elezioni ha ottenuto un risultato sorprendente: è passato da un solo seggio nella Camera alta a 14 seggi tra i 124 in palio. Alla base del suo successo c’è anche un cambiamento demografico e sociale di lungo periodo. Negli ultimi dieci anni, la popolazione di residenti stranieri in Giappone è cresciuta rapidamente, pur restando molto bassa rispetto agli standard occidentali: al primo gennaio 2025, gli stranieri rappresentavano circa il 3 per cento della popolazione, pari a 3,68 milioni di persone, con un aumento annuo superiore al 10 per cento. Parallelamente, i turisti stranieri hanno raggiunto un record di 36,9 milioni lo scorso anno. Questi cambiamenti hanno generato tensioni, amplificate dai social media, dove si diffondono racconti di presunti crimini commessi da stranieri – smentiti dai dati ufficiali – e accuse di abusi del sistema di welfare giapponese. Secondo diversi analisti, la reticenza del governo ad ammettere di aver aperto le porte a immigrati legali, compresi lavoratori non qualificati, unita alla mancanza di politiche di integrazione, ha creato un terreno fertile per la retorica nazionalista. Ed ecco come le tensioni strutturali della società hanno reso gli stranieri un facile capro espiatorio, utile a distogliere l’attenzione da problemi economici e sociali più profondi.

L'ombra dell'instabilità

Così, i giovani elettori, particolarmente penalizzati dagli aumenti dei prezzi e da salari che non crescono allo stesso ritmo, si sentono intrappolati in una “democrazia d’argento” che tutela gli anziani a scapito delle nuove generazioni. Sono stati loro a dare il contributo più significativo all’ascesa del Sanseito e del DPFP, mentre LDP e CDPJ hanno ottenuto i risultati migliori tra gli elettori over 60. Il Sanseito ha inoltre raccolto l’eredità di parte della corrente più conservatrice del LDP, rimasta senza una guida politica dopo l’assassinio dell’ex primo ministro Shinzo Abe nel 2022. Nel breve termine, la politica giapponese si prepara a una fase caotica. Un periodo prolungato di instabilità politica renderebbe più difficile affrontare problemi cronici come la riforma delle pensioni e della sanità, l'inflazione, il deprezzamento della moneta nazionale e le tensioni geopolitiche. Questo potrebbe però alimentare ulteriore estremismo populista, proprio mentre l’enorme debito pubblico limita la possibilità di rispondere con grandi spese sociali.

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08 settembre 2025, 10:58