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Le manifestazioni in Nepal Le manifestazioni in Nepal

Disordini e violenza in Nepal, 21 morti e governo dimissionario

Il blocco dei social media da parte del governo ha scatenato la rabbia dei cittadini, che sono scesi in piazza e si sono scontrati con la polizia. Il bilancio delle vittime ha portato all'abbandono del primo ministro Sharma Oli e portato i manifestanti a incendiare le abitazioni di alcuni politici, l’ufficio presidenziale e la Corte Suprema

Pietro Piga – Città del Vaticano

Il Nepal è precipitato nel caos. Le dimissioni del primo ministro, Sharma Oli, sono l’epilogo delle proteste e delle violenze che hanno portato alla morte di 21 persone e al ferimento di oltre 300, stravolgendo il Paese dell’Asia del Sud tra lunedì 8 e martedì 9 settembre. Il divieto dei social media, deciso dal governo giovedì 4 e interrotto lunedì scorso, è stato il detonatore delle manifestazioni, organizzate dal movimento giovanile “Generazione Z”, che dalle strade della capitale, Katmandu, si sono estese in altre città anche per denunciare la corruzione e il nepotismo che, secondo i dimostranti, avrebbero caratterizzato l’operato dell’esecutivo e aggravato la situazione economica dello Stato.

Il motivo delle contestazioni

Per cinque giorni, 26 piattaforme, sono stati inaccessibili per i nepalesi perché, a differenza di altre non sono state registrate all’Autorità per le Telecomunicazioni del Nepal, presso il Ministero delle Comunicazioni e della Tecnologia dell’Informazione, come richiesto dalla direttiva statale. La tesi del governo è che gli utenti, registrati con dei profili falsi, veicolino disinformazione e compiano crimini informatici, accrescendo le tensioni in un Paese in cui il 90% dei 30 milioni di cittadini utilizza Internet.

Le proteste e le conseguenze politiche

Inizialmente, il disappunto è stato espresso con un hashtag in riferimento al nepotismo tra le autorità, poi si è tramutato in manifestazioni che hanno avuto come fulcro la Katmandu, sulla quale ha marciato la folla. La situazione è degenerata col lancio di pietre e macchine incendiate, e ci sono stati scontri tra i dimostranti e gli agenti della polizia che, per disperderli, hanno impiegato cannoni ad acqua, gas lacrimogeni, manganelli e proiettili di gomma. Il bilancio è provvisorio: si contano 21 morti e oltre 300 feriti, inclusi membri delle forze dell’ordine. Proprio quando è stato reso noto il numero delle vittime, la rabbia dei manifestanti, che hanno denunciato “la brutalità della polizia”, è aumentata: hanno infranto il coprifuoco, assediato il Parlamento e incendiato l’ufficio presidenziale, che è stato evacuato, la Corte Suprema e le abitazioni di alcuni politici, inclusa quella del capo del governo, Sharma Oli. Quest'ultimo, dettosi “profondamente rattristato per il tragico incidente”, ha promesso l’apertura di una commissione d’inchiesta e allo stesso tempo ha rimesso il mandato nelle mani del presidente della Repubblica Federale Democratica, Ram Chandra Poudel.

La testimonianza

Al suo atterraggio all’aeroporto di Kathmandu, di rientro da un viaggio pastorale, padre Silas Bogati, Amministratore Apostolico del Vicariato del Nepal, testimone degli scontri, ha raccontato all’Agenzia Fides quanto visto. “Sono giovani e studenti che protestano per la corruzione e che vedono una classe politica pensare solo ai propri interessi. I loro ideali sono buoni, chiedono un buon governo, un futuro di prosperità e di sviluppo ma sono tristi e frustrati per le mancanze dei governanti. Questa frustrazione è degenerata in rabbia e anche in atti violenti e vandalici, dopo che i loro coetanei sono stati uccisi dalla polizia”. Nel Paese, dove risiede una comunità di ottomila fedeli, ha aggiunto Bogati, “è sensibile la distanza tra i politici e la gente comune. I legislatori non sono percepiti come persone che lavorano per il bene del Paese, questo ha generato malcontento e manifestazioni. Le misure repressive messe in atto hanno aumentato la frustrazione e alimentato la tensione". Un messaggio è arrivato anche da Bruxelles, tramite Kaja Kallas, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza nella Commissione europea, che ha chiesto alle autorità “di prendere tutte le misure necessarie per proteggere le vite” e prospettato “il dialogo tra tutte le parti per risolvere le differenze e garantire che tutti i diritti fondamentali siano rispettati”.

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09 settembre 2025, 13:10