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Zuppi: non lasciamo il Papa da solo, diamo forza al suo appello di pace

Il cardinale presidente della Cei alla giornata conclusiva di Tonalestate, l’evento animato dall’Opera di Nàzaret: nonostante il fragore delle armi, oggi "la speranza c'è, dobbiamo cercarla attraversando l’oscurità, le difficoltà, i problemi". Ai lavori è intervenuto anche il prefetto del Dicastero per la comunicazione, Paolo Ruffini, che ha esortato a una informazione "disarmata e disarmante"

Giada Aquilino - inviata a Ponte di Legno

Nonostante il fragore delle armi che risuona a Gaza come a Kyiv, e non solo, oggi «la speranza c’è: dobbiamo cercarla anche attraversando l’oscurità, le difficoltà, i problemi». È quanto ha assicurato il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana, intervenuto oggi a Ponte di Legno alla giornata conclusiva dell’evento Tonalestate, l’international summer university animata dall’Opera di Nàzaret e dedicata quest’anno al tema della miseria, con il titolo “DeRelicti — chi ha le chiavi del regno?”. «La speranza non è qualcosa che si afferma immediatamente, richiede di attraversare i problemi che possono e debbono essere risolti», ha spiegato il porporato ai giovani partecipanti.

Il cardinale Zuppi al Tonalestate
Il cardinale Zuppi al Tonalestate

In Ucraina prevalga il dialogo

Quando a livello internazionale, a proposito della guerra in Ucraina, è stato annunciato un incontro in Alaska, il prossimo 15 agosto, tra il presidente statunitense Donald Trump e quello russo Vladimir Putin, Zuppi ha auspicato che «il dialogo prevalga e un incontro così importante possa dare i frutti desiderati». «La comunità internazionale si è molto preoccupata di garantire la difesa dell’aggredito»: al contempo, ha riflettuto, è necessario «favorire un dialogo» che «onestamente c’è stato molto poco». Guardando ai conflitti di oggi, ha ricordato, Papa Leone XIV «chiede di fare quanto prima un vero cessate-il-fuoco»: «Non lasciamolo da solo, diamo forza all’appello» del Pontefice, è stata la sollecitazione del porporato. Di qui un invito a fare proprio l’appello di Papa Prevost — che, ha evidenziato, «si è coinvolto» in prima persona per fare «della Sede Apostolica un luogo di vera ricerca della pace» — a «combattere ogni inimicizia con l’amicizia. 

Ascolta l'intervista con il cardinale Zuppi

Comunicazione è relazione

Una esortazione a una comunicazione «disarmata e disarmante», come quella pace invocata da Leone XIV nelle sue prime parole dopo l’elezione tre mesi fa, è venuta ai partecipanti da Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione. «È possibile — ha detto — se si parte da noi stessi, se non si pensa ad essa soltanto come un tentativo di catturare l’attenzione di un istante, ma come una relazione profonda». L’idea, ha proseguito è quella di «partire, come ha detto Papa Francesco e ripete Papa Leone, dai nostri cuori: la comunicazione vera comincia da un fidarsi e affidarsi all’altro, costruendo una relazione». Se però «pensiamo di costruire una comunicazione fatta per slogan, per correre subito ad una conclusione, invece di cercare di capire, noi “armiamo” le nostre parole fino a creare un mondo fatto di pregiudizi: penso – ha osservato — che questo sia uno dei mali del nostro tempo». Dal Pontefice «ci viene l’esortazione a capire che la pace è possibile, ma non è un gioco: è un processo che necessita di tempo». «Come Leone XIV ha ricordato incontrando i giornalisti e poi in varie altre occasioni, la comunicazione può aiutare i processi di pace. Non è una cosa di un istante, ma — ha ribadito Ruffini — si costruisce nel dialogo, attraverso la diplomazia e la comprensione tra i popoli, anche se alla fine siamo tutti un unico popolo». La storia dell’uomo, ha proseguito, «è fatta anche di tante guerre, dovremmo provare a farla di tante paci. Mi pare però che Papa Leone ci dica tutti i giorni che non c’è da disperare, ma da radicare la speranza in qualcosa che ci trascende». La via allora è quella di una comunicazione che possa «aprirci gli occhi e liberarci da quegli “schemi di guerra” tornati a imporsi oggi, come constatò Papa Francesco già nel 2002, favorendo invece “schemi di pace”».

Ascolta l'intervista con Paolo Ruffini
L'intervento di Paolo Ruffini al convegno a Ponte di Legno
L'intervento di Paolo Ruffini al convegno a Ponte di Legno   (©Alejandro Mátzar Loch)

Arte e filosofia

Nelle sessioni precedenti un intervento di Jean Marc Hovasse, docente alla Sorbonne Université, si è concentrato oggi su Les misérable di Victor Hugo e sul concetto della «potenza civilizzatrice dell’arte», in fondo più incisiva «di qualsiasi lotta politica». Il filosofo islamico Ghaleb Bencheikh, presidente della Fondation de l’Islam de France, ha esortato a «darsi il tempo di riflettere» in un mondo in cui «interi popoli sono martirizzati», senza perdere di vista il senso della miseria, che vuol dire «essere allontanati dall’amore profondo».

I giovani del Tonalestate
I giovani del Tonalestate

Dialogo interreligioso

I lavori di Tonalestate, costantemente animati dalla curiosità dei ragazzi, si sono focalizzati ieri anche sul dialogo interreligioso, mosso e animato dall’uomo e per l’uomo. Il rabbino Abraham Skorka, rettore emerito del Seminario rabbinico latinoamericano di Buenos Aires, ha osservato che «tutto comincia e tutto finisce nell’individuo», capace di «fare la differenza». Sul legame tra Dio e l’uomo si è concentrato l’imam di Bordeaux, Tareq Oubrou: «Per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo», ha spiegato, prima di guardare al tema del convegno, i “deRelicti”. «La povertà — è stata la sua constatazione — è un sentimento della mancanza: anche coloro che sono ricchi possono provarlo. Dare attenzione a qualcuno, all’altro, invece, aiuta più dei soldi». Padre Jean Marie Lassausse, sacerdote della Mission de France in Algeria, già custode del monastero Tibhirine, da cui nel 1996 furono rapiti e poi uccisi 7 monaci trappisti, poi beatificati nel 2018, oggi si occupa di migranti detenuti nelle carceri algerine. Una volta ogni quindici giorni entra in una prigione o in un centro di reinserimento: si definisce un «visitatore», con l’unico obiettivo di «far mantenere un legame con le famiglie separate, che altrimenti non avrebbero alcuna possibilità di rimanere in contatto». E in questa missione di prossimità, che si concretizza semplicemente per una foto o una lettera scambiata tra il detenuto e la propria famiglia, non c’è differenza di credo: «L’umanità passa prima anche della religione».

Una riflessione sulla miseria

All’intervento di Jean Tonglet, di Atd Quarto Mondo, testimone di un impegno duraturo al fianco dei più poveri, da Haiti alla Repubblica Democratica del Congo, dal Perú alle Filippine, dalla Tanziania alle realtà disagiate italiane, è seguito poi quello di Beata Uwase, sopravvissuta al genocidio in Rwanda, nel 1994, quando nel giro di cento giorni vennero uccisi un milione di tutsi e massacrati anche hutu moderati. Un omicidio ogni dieci secondi, è stato calcolato. Beata, oggi studentessa di medicina e chirurgia a Roma, all’epoca aveva 5 anni. «Ricordo quel giorno come se fosse ieri». Le parole interrotte dalla commozione, poi la forza nel racconto: «Tutta la mia famiglia venne uccisa il 7 aprile», subito dopo l’inizio delle violenze. Lei fu gravemente ferita ma venne salvata «da un vicino di etnia hutu, perché non tutti gli hutu parteciparono ai massacri». Al convegno, anche Beata ha riflettuto sulla miseria. «È la mancanza di qualcosa che è necessario per vivere. Io ero sopravvissuta ma non avevo più nessuno: per me la miseria è essere rimasta orfana, senza famiglia». Eppure la donna, come la sua terra, è ripartita, anche tramite i Gacaca, i tribunali tradizionali che hanno fatto incontrare le persone sui prati, in un difficile e al contempo straziante susseguirsi di racconti di atrocità, confessioni, condanne ma anche richieste di perdono. Beata le ha accolte, per non ripetere quegli errori dalle «conseguenze devastanti» generati dall’odio e dalla divisione.

I lavori a Passo del Tonale
I lavori a Passo del Tonale

Imparare il senso della comunità

Maida Ochoa, educatrice e formatrice di educatori all’università pedagogica di Tegucigalpa, in Honduras, ha condiviso l’esperienza, animata e portata avanti grazie all’associazione “I Sant’Innocenti” in seno all’Opera di Nàzaret, con i figli dei lavoratori di un mercato del centro storico della capitale. «Attraverso giochi e altre attività questi bambini si sono avvicinati ai libri, convivendo in pace e amicizia tra loro: hanno imparato a sentirsi una comunità».

Ai tavoli di dibattito ha partecipato pure Merle Whistler, rappresentante della tribù dei nativi americani Oglala Lakota. Originario di una riserva del South Dakota, «uno dei posti più poveri degli Stati Uniti», ha testimoniato, si vive in un contesto di «sanità limitata ed educazione senza fondi», minacciato da droga, alcol e suicidi. «La nostra storia è stata quasi cancellata dai libri. A partire dal 1973 - ha poi aggiunto - hanno tentato di sottrarci tonnellate di risorse e molte delle nostre terre. Ma voglio essere una voce di speranza per il mio popolo, perché l’identità deve rimanere forte nel cuore di ciascuno».

Il ricordo di Hiroshima e Nagasaki

A margine dei lavori, anche una videoproiezione curata dal giornalista Giorgio Fornoni, incentrata sui commerci illegali di coltan in Repubblica Democratica del Congo come pure sugli aiuti spontanei offerti dalla gente comune ai migranti in marcia tra Messico e Stati Uniti. Stasera la chiusura del Tonalestate: l’approfondimento conclusivo è dedicato agli 80 anni dal lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, con Peter Kuznick, direttore del Nuclear studies institute presso l’American university di Washington, e Michiko Kono, membro dell’Hiroshima peace memorial museum: è una sopravvissuta, all’epoca aveva 4 mesi. Oggi è volontaria di pace e messaggera di speranza alle giovani generazioni.

L'esperienza di un giovane al Tonalestate: Luis
Il manifesto dell'edizione 2025
Il manifesto dell'edizione 2025

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09 agosto 2025, 14:22