Oltre la razionalità per dare forma all’invisibile
Mara Miceli – Città del Vaticano
Un viaggio visionario, immaginifico, sospeso tra sogno e simbolo. È quello che propone la mostra “Fuori dai confini della realtà. Tra Klee, Chagall e Picasso”, visitabile dal primo agosto 2025 all’11 gennaio 2026 presso i Musei Civici “Gian Giacomo Galletti” di Palazzo San Francesco, a Domodossola, nell’ambito della rassegna italo-svizzera. Si tratta di un percorso che intreccia opere di Paul Klee, Marc Chagall, Pablo Picasso, ma anche di Osvaldo Licini, Fausto Melotti e Gastone Novelli, invitando il visitatore ad oltrepassare la soglia della razionalità per immergersi in territori interiori e intimi. Antonio D’Amico, curatore della mostra e direttore del Museo Bagatti Valsecchi di Milano, ne racconta il senso profondo: “Molto spesso abbiamo bisogno di un luogo neutro, protetto, che ci aiuti a ritrovarci e a vivere meglio. L’immaginario, come la fede, può offrirci questo rifugio. È una forma di resistenza alla frenesia quotidiana”. Il titolo, spiega D’Amico, è nato durante un viaggio in auto, ascoltando l’ultimo brano di Arisa dedicato alla madre, colonna sonora del film Il ragazzo dai pantaloni rosa. “Ho immaginato qualcuno affacciato a una finestra: non guarda ciò che ha davanti, ma sogna altrove, sogna mondi sconfinati, luoghi dell’anima”.
Una pittura che cerca altrove
Tra le opere in mostra si snoda un dialogo profondo tra artisti apparentemente lontani ma accomunati da un’urgenza condivisa: liberare la pittura dalla rappresentazione del reale. “È un fil rouge che attraversa l’intera esposizione”, conferma il curatore. “Dalla fine dell’Ottocento, gli artisti iniziano a guardare oltre il visibile. Picasso con il cubismo scompone la realtà per offrirne molteplici prospettive; Chagall la trasfigura nel sogno, con una forte tensione mistica; Klee, infine, la reinventa attraverso un misticismo fatto di segni, colori e concetti”. Ma il discorso si allarga anche ad altri protagonisti del Novecento. Gastone Novelli, ad esempio, introduce la parola come elemento pittorico, veicolo di una ricerca intima. “Ognuno degli artisti presenti - prosegue D’Amico - partendo dal reale, si rifugia in un universo personale: la scomposizione, la religione, l’onirico, la fiaba. È una pittura che guarda dentro per poter guardare fuori”.
L’arte come rifugio nei tempi inquieti
Il contesto storico - guerre, migrazioni, confini - ha profondamente inciso sull’opera di questi artisti, così come ha influenzato la selezione delle opere in mostra. “Viviamo un’epoca non troppo distante, per inquietudine, da quella di inizio Novecento”. “Anche oggi - osserva D’Amico - cerchiamo appigli, valori, intimità. L’arte ci aiuta a stare meglio, a leggere la realtà in modo più profondo, più autentico. Come la Chiesa ha sempre fatto con l’immagine sacra, l’arte ci accompagna oltre la soglia del visibile per condurci al senso”. Una lettura, questa, che restituisce significato anche alla scelta di materiali e tecniche espositive: accanto ai dipinti, infatti, trovano spazio ceramiche e vetri artistici, oggetti sospesi tra arte e artigianato, espressione della fragilità della materia e della forza del gesto. “Pensi ai vetri soffiati da Costantini su disegni di Arp, Cocteau, Picasso... Se uno di questi cadesse, andrebbe in frantumi. La fragilità dell’opera è specchio della fragilità umana. Non a caso, molti di questi artisti hanno scelto proprio il vetro per parlare di sé”.
Domodossola, città di confine
Non è un caso che questa mostra prenda forma a Domodossola. Città di confine, ponte tra l’Italia e la Svizzera, incarna perfettamente la doppia anima della rassegna: da un lato il radicamento nella tradizione italiana, dall’altro lo slancio verso l’innovazione europea. “Klee, che nasce in Svizzera, attraversa il confine alla ricerca del collezionismo italiano”, racconta D’Amico. «Picasso, nel suo viaggio italiano, scopre il mondo svizzero. È un’osmosi culturale, una continuità temporale e geografica che ben rappresenta lo spirito della mostra”.
Lentezza e intuizione, un antidoto al tempo digitale
In un tempo dominato dalla velocità e dalla comunicazione istantanea, la mostra invita il pubblico, soprattutto quello più giovane, a rallentare. “La bellezza dell’arte ha ancora la forza di farsi ascoltare”, afferma D’Amico. “L’abbiamo pensata per il tempo estivo, quando ci riappropriamo del tempo lento. Anche le nostre attività serali al museo sono molto frequentate: è la prova che, quando ci fermiamo, abbiamo ancora voglia di riflettere, di emozionarci”. E se queste opere avessero una colonna sonora? “Forse Schubert o Mozart”, dice sorridendo. “Ma anche la musica trap, quella che oggi racconta la fragilità dell’animo umano, come facevano Klee o Chagall. È una sfida che accogliamo: tenere insieme memoria e futuro”.
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