Meeting, mattoni di pace nei deserti del mondo
Guglielmo Gallone - Rimini
Siria, Sud Sudan, Sudan, Myanmar: costruire con mattoni nuovi nei deserti significa anche e soprattutto rivolgersi a queste aree di mondo. Cioè, a quelle troppo spesso dimenticate tanto dalla cronaca internazionale quanto dalla politica e dalla diplomazia, che tendono a concentrare tutta l’attenzione sugli scenari principali. Comprensibile, per certi punti di vista. Eppure, le crisi appena menzionate non sono da meno.
Non solo numeri
Si pensi al Sudan, precipitato da oltre due anni in una guerra civile devastante che ha causato la più grave crisi umanitaria al mondo in cui 30,4 milioni di persone, più della metà della popolazione, hanno bisogno di assistenza umanitaria. O al Sud Sudan, dove la guerra civile e i conflitti interetnici hanno lasciato 2,3 milioni di bambini sotto i cinque anni a soffrire di malnutrizione acuta. In Myanmar, la crisi generata dal golpe del 2021 e aggravata dal terremoto del marzo scorso ha lasciato il Paese in ginocchio. Che dire della Siria, tragedia senza fine a quattordici anni dall’inizio della guerra. Al Meeting di Rimini, terminato mercoledì 27 agosto, questi conflitti dimenticati hanno trovato spazio in diversi momenti di riflessione con un solo obiettivo, ribadito dal presidente della Fondazione, Bernard Scholz: andare dietro i numeri per trovare, raccontare e far emergere storie.
Le ferite della Siria
Così, le “ferite della Siria” sono state raccontate da chi opera sul campo, come Giacomo Gentile e Jean-François Thiry di Pro Terra Sancta, che hanno descritto la fatica di restituire convivenza in un Paese ancora attraversato dal conflitto. Una fatica anche personale perché, ha detto Thiry, «nel mio primo viaggio in Siria, a fine maggio 2017, vidi centinaia di persone uscire in processione per la Vergine Maria. A pochi metri, però, c’era la guerra: una miriade di miliziani, armati fino ai denti. Ho detto al parroco che forse era pericoloso uscire in quel momento. Ma lui mi disse così: non possiamo tacere della nostra fede. Ecco cosa si vede in Siria: fedeli attraversare il Paese pur di ricevere il sacramento, pastori che si sacrificano pur di essere guida. Per loro, la vita in Cristo è il valore più grande. Ed ecco la mia ferita: io non avevo questa coscienza, non ero pronto a dare la mia vita per la mia fede». Così la Siria è tornata al centro nell’incontro a Rimini sull’importanza della comunità cristiana, con il vicario apostolico di Aleppo, monsignor Hanna Jallouf, e il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani.
Sudan e Sud Sudan non sono crisi lontane
Il Meeting ci ha poi ricordato che il Sudan “non è lontano”, bensì parla al cuore di una crisi globale che coinvolge gli interessi delle grandi potenze. Valerie Guarnieri del World Food Program e i rappresentanti della cooperazione italiana lo hanno descritto come un dramma che travalica i confini nazionali: non solo sul piano umanitario, bensì per essere ricco di materie prime strategiche che alimentano un commercio sommerso e conteso da attori esterni. Sullo stesso tono l’incontro dedicato al Sud Sudan, con monsignor Christian Carlassare, vescovo di Bentiu, e l’esperienza di AVSI. Ai microfoni di Radio Vaticana, monsignor Carlassare, ha voluto ribadire che «il mondo non è a pezzetti e noi siamo tutti parte di una casa comune», specie in Sud Sudan «dove la popolazione ancora vive nella povertà, non si vota dall’indipendenza del 2011, le persone portano ferite nel cuore e nel corpo». Ancor più qui, ha ribadito il vescovo di Bentiu, «abbiamo bisogno di pastori santi al servizio della comunione e della pace».
Lo sfondo internazionale
Tuttavia, oggi questi scenari stanno avvenendo sullo sfondo di uno scenario inedito, caratterizzato da un contesto geopolitico ed economico che sta ridisegnando e restringendo, in nome del concetto della “tutela primaria della sicurezza nazionale”, persino i contorni dell’assistenza umanitaria. C’è stato spazio anche per questo tema a Rimini, nel panel promosso da Intersos, con il MAECI e reti di ong.
Trasformare il dolore in terreno di speranza
Se c’è un filo che ha unito tutte queste testimonianze, è la consapevolezza che questi conflitti dimenticati sono parte integrante della nostra storia presente e condizionano gli equilibri mondiali. Ancor più, tra ferite e macerie, il Meeting ha testimoniato come anche qui si possa e anzi si debba cercare il modo di promuovere un’informazione diversa, capace di parlare di riconciliazione, di gratuità, di dialogo. Sono i grandi temi emersi in questi sei giorni. “Costruire con mattoni nuovi nei luoghi deserti” significa proprio questo: trasformare il dolore in terreno di speranza, perché non ci sia un’umanità dimenticata e un’altra salvata, ma un’unica comunità che cerca, insieme, vie di pace.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui