Dal sussurro al grido con Scarlatti e Yann Robin
Marco Di Battista - Siena
Un dialogo tra passato e presente. Uno scontro tra la storia e l'arte. La vicenda di Giuditta e Oloferne musicata da Alessandro Scarlatti, incastonata nella Medusa messa in musica da Yann Robin. L'abbiamo visto, e ascoltato, mercoledì 27 agosto al Teatro dei Rinnovati. L'Accademia Chigiana di Siena apre lo sguardo al resto del mondo, dimostrando di essere internazionale non solo nel titolo. In Italia questi confronti restano ancora delle eccezioni. Il progetto Medusa-Giuditta funziona come certi allestimenti barocchi, quando si mettevano in scena rappresentazioni di vari autori. La scena si apre con un pittore inquieto, di fronte a una testa di Medusa appena dipinta. Il quadro prende vita e i serpenti sibilano e avvolgono la scena e gli spettatori. La via d'uscita è indicata dalla modella Fillide Melandroni, cortigiana romana e musa prediletta di Caravaggio (ecco chi era l'inquieto artista): dipingere l'uccisione di Oloferne da parte di Giuditta. Così, tra vero e immaginato, inizia, dopo la musica di Robin, l'oratorio Giuditta di Alessandro Scarlatti. Cambia la scena e cambia anche l'orchestra, all'ARCo Ensemble, con strumenti moderni, diretta da Kai Röhrig, subentra Barockorchester der Universität Mozarteum, con strumenti originali, diretta da Vittorio Ghielmi.
Eccoci allora alla seconda parte della serata. La città di Betulia è assediata dall’esercito assiro sotto il comando del generale Oloferne. Siamo immersi nel capolavoro scarlattiano. La versione scelta è quella ritrovata a Cambridge (ne conosciamo solo una esecuzione, il 16 marzo 1697, ovviamente a Roma) e con solo tre personaggi (i tagli arrivavano anche nella Roma barocca): Giuditta, Oloferne e la Nutrice (che ha una delle arie più belle della storia della musica). Guarda caso gli stessi tre soli protagonisti del celeberrimo quadro di Caravaggio. Proprio nell'atto della decapitazione si interrompe l'oratorio di Scarlatti e entriamo nella terza parte dell'opera. Torniamo nello studio dell'artista, dove il dipinto Giuditta e Oloferne è stato completato. Per questo i modelli di Caravaggio hanno terminato il lavoro e, una dopo l'altro, lo lasciano solo.
Torna l'orchestra moderna, la partitura di Robin, e tornano anche i tormenti dell'artista. Come la musica trasfigura dall'antico al moderno, così l'immagine di riferimento non è più quella caraveggesca ma è l'Angelus Novus di Paul Klee. L'intenzione del compositore è quella di utilizzare il soprano di coloratura come una "figura divina, che apre uno spazio sacro. La sua linea di canto segue una sorta di 'quasi-salmodia', che va dal sussurro al grido – attraversata da suoni puri, luminosi. La sua voce descrive una traiettoria che oltrepassa l’umano e tocca sia registri sensoriali che spirituali".
È insomma l'ombra della storia a coinvolgere ancora la scena e tutti noi. Il sangue, l'orrore, la violenza seguono il destino dell'Uomo e lo separano dalla luce.
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