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Una rosa e una bandiera con la scritta pace alzate dopo le violenze registrate nel dipartimento di Cauca Una rosa e una bandiera con la scritta pace alzate dopo le violenze registrate nel dipartimento di Cauca

Colombia, la via del rispetto e della fraternità contro divisioni e violenze

Intervista dei media vaticani a monsignor Medina Acosta, segretario generale della Conferenza episcopale della Colombia. Due mesi fa l’attentato a Bogotá contro il pre-candidato presidenziale e senatore del partito Centro democratico, Miguel Uribe Turbay, a tutt’oggi ricoverato in gravi condizioni, in un momento in cui si rialza lo scontro con le guerriglie, i gruppi armati e i cartelli della droga. Il vescovo: il Paese ha bisogno di percorsi di riconciliazione, giustizia e speranza

Giada Aquilino - Città del Vaticano

Un impegno ad essere «profeti, testimoni e servitori della speranza» di fronte alle «realtà difficili» che si vivono oggi in Colombia. Lo hanno scritto i vescovi del Paese latinoamericano in un messaggio, al termine della loro assemblea plenaria tenutasi il mese scorso a Bogotá. Il 7 giugno l’attentato nel quartiere Modelia della capitale contro il pre-candidato presidenziale e senatore del partito Centro democratico, Miguel Uribe Turbay, a tutt’oggi ricoverato in gravi condizioni, ha infatti rigettato l’ombra della violenza politica sul Paese, in un momento in cui si rialza lo scontro con le guerriglie, i gruppi armati e i cartelli della droga che si contendono il territorio e le rotte dei traffici criminali. Ai media vaticani, monsignor Germán Medina Acosta, vescovo di Engativá e segretario generale della Conferenza episcopale colombiana (Cec), richiama sia l’appello di Papa Francesco, quando nel corso del suo viaggio apostolico del 2017 esortò i colombiani a non lasciarsi «rubare la speranza», sia la sollecitazione di Papa Leone XIV a creare una cultura della pace «disarmata e disarmante» e ad essere artefici di «unità», perché — evidenzia il presule — essa «nasce dal dialogo, dall’ascolto, dal riconoscimento del dolore dell’altro e dalla volontà di sanare le ferite del passato con giustizia, memoria e verità».

La Conferenza episcopale colombiana si è detta addolorata per le persistenti «frammentazione e polarizzazione», l’acuirsi delle divisioni «politiche, sociali ed economiche», le «profonde» ferite causate da violenza, corruzione, narcotraffico e attività illecite nel Paese. Che momento è per la Colombia?

Come in altre regioni del mondo, sono emerse leadership politiche di diverso orientamento ideologico che, con posizioni che fomentano il dissenso e discorsi populisti, rendono difficile la costruzione di percorsi comuni. In un Paese ferito dalla divisione, riteniamo urgente promuovere una cultura politica basata su rispetto, incontro e fraternità. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un aumento della violenza, provocato dall’azione di molteplici attori armati illegali e dal consolidamento di economie illecite che operano in diverse regioni del Paese. Questa situazione ha avuto un profondo impatto sulla cittadinanza, approfondendo ferite del passato e creando nuove fratture nel tessuto sociale. A ciò si aggiungono fattori strutturali che aggravano la crisi: la corruzione persistente, la limitata capacità dello Stato di rispondere efficacemente alle emergenze sociali, la crescente sfiducia nelle istituzioni e la mancanza di garanzie per il pieno esercizio dei diritti dei cittadini. Tutto ciò ha indebolito i pilastri della convivenza, generando incertezza e sfiducia. In questo contesto, sono le comunità più vulnerabili a soffrire maggiormente. La Colombia ha bisogno di percorsi di riconciliazione, giustizia e speranza. Per questo, la Chiesa locale ha recentemente istituito il Servizio episcopale per il perdono, la riconciliazione e la pace.

Nelle ultime settimane, mentre a livello politico si consumavano le tensioni sulla riforma del mercato del lavoro voluta dal presidente Gustavo Petro, un attentato ha ferito gravemente il senatore Miguel Uribe. Che rischi ci sono in un Paese che ha vissuto oltre cinquant’anni di guerra con le Forze armate rivoluzionarie della Colombia, le Farc?

La riforma del lavoro proposta dal governo, la violenza politica e il conflitto armato interno sono temi distinti che non devono essere confusi, anche se fanno parte di un contesto comune. Le interpretazioni sulle cause dell’attentato al senatore Miguel Uribe sono diverse; ma le indagini delle autorità indicano che l’origine è da ricercarsi in quegli attori armati che hanno interesse a destabilizzare lo Stato, a creare un clima di tensione e caos per continuare a intensificare la violenza, soprattutto nel contesto pre-elettorale. Questo modus operandi è già stato utilizzato in passato nel nostro Paese. D’altra parte, molti analisti concordano sul fatto che la violenza politica dei primi anni è poi sfociata in violenza ideologica sovversiva, ma che oggi ci troviamo di fronte a una violenza non ideologica, generata dalle dinamiche perverse delle economie illecite, narcotraffico, microtraffico, estrazione illegale e sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali. In generale, qualsiasi espressione di violenza è una sfida pastorale, poiché sono in gioco i diritti fondamentali alla vita, all’integrità e alla libertà e come pastori non possiamo ignorarla. Non possiamo nemmeno perdere di vista i gravi rischi che corre un Paese che ha vissuto più di cinquant’anni di conflitto armato: le comunità, nei territori storicamente più colpiti, continuano a soffrire di una profonda frammentazione del tessuto sociale, che si esprime nella rottura dei legami di solidarietà, nella sfiducia tra vicini e nei processi comunitari. Questa situazione facilita l’azione di gruppi armati illegali e il persistere di pratiche come il reclutamento forzato di bambini, bambine e adolescenti, che costituisce una ferita aperta. A ciò si aggiunge il fatto che molte delle nostre nuove generazioni crescono immerse in culture che esaltano la violenza, l’odio e l’esclusione. Come Chiesa, siamo profondamente preoccupati e ribadiamo il nostro impegno ad accompagnare, guarire e ricostruire il tessuto sociale con l’amore, la giustizia e la misericordia del Vangelo.

Nel Paese persiste l’insicurezza: continuano ad operare diverse fazioni di dissidenti delle Farc, ma anche i guerriglieri dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln) e le bande di narcotrafficanti che controllano le coltivazioni di coca e le rotte per il traffico internazionale di droga. Che conseguenze ci sono per la popolazione civile?

Nel primo trimestre del 2025 il numero delle persone colpite dalla violenza è quadruplicato rispetto all’anno precedente. Dipartimenti come Norte de Santander, Arauca, Cauca, Putumayo, Valle del Cauca, Chocó, Sur de Bolivar, Antioquia (Bajo Cauca), Santander e Nariño registrano sfollamenti di massa, confinamenti, restrizioni alla mobilità e uso di ordigni esplosivi, che colpiscono gravemente le popolazioni afrocolombiane, indigene e contadine. La presenza di gruppi armati illegali ha creato situazioni difficili per le comunità, violando i diritti umani e il diritto internazionale umanitario: reclutamento forzato di minori, chiusura delle scuole, coprifuoco, minacce contro la leadership sociale, limitazioni all’accesso ai servizi essenziali, restrizioni alla mobilità. Questa situazione non solo deteriora la vita materiale delle persone, ma lascia profonde ferite nella società. Come Chiesa, tale realtà ci addolora e rinnoviamo il nostro impegno a continuare ad accompagnare coloro che soffrono, riconoscendo che siamo chiamati a promuovere la vita, la dignità umana e le vie della riconciliazione.

A che punto è il programma di «pace totale» del presidente Gustavo Petro? 

La politica di «pace totale» è iniziata con l’attuale governo del presidente Petro e ha generato grandi aspettative poiché considerato il primo governo di sinistra in Colombia. Devo anche riconoscere che tutti i governi nazionali, nel tempo, hanno avuto iniziative chiamate in modi diversi ma sempre con il desiderio di costruire la pace. L’attuale governo non ha avuto vita facile nel concretizzare il suo impegno per la pace per diversi motivi, uno dei quali è “sociologico”: anche tra i gruppi armati presenti sul territorio colombiano non esiste più l’unità del passato, quando c’erano gruppi di guerriglieri con una struttura più ampia e un raggio d’azione nazionale. Dopo l’accordo di pace del 2016 sono emersi gruppi dissidenti delle Farc e attualmente esistono blocchi e un fronte armato che sta avvicinandosi al governo, mentre il tavolo delle trattative è sospeso, così come quello con l’Eln e i 7 tavoli regionali per la pace territoriale e i processi di pace urbana. Ad oggi, resta da definire, da parte del governo, il percorso giuridico per questi tavoli e forse anche un metodo che possa dare i risultati che tutto il popolo colombiano desidera. Dalla Nunziatura apostolica in Colombia e dalla nostra Conferenza episcopale siamo convinti che sia giunto il momento di presentare un quadro etico per la partecipazione della Chiesa come accompagnatrice in questi processi di dialogo e ricerca della pace, in modo da salvaguardare il diritto internazionale umanitario e i diritti umani mentre si portano avanti gli sforzi di pace territoriale, poiché siamo convinti di una soluzione negoziata attraverso il dialogo e il bene comune.

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04 agosto 2025, 14:16