杏MAP导航

Cerca

Carri armati al confine tra Thailandia e Cambogia Carri armati al confine tra Thailandia e Cambogia  (AFP or licensors)

Thailandia-Cambogia, nuovi scontri al confine: almeno 11 morti

Rischia di riprendere il conflitto per le storiche contese geografiche e culturali tra Bangkok e Phnom Penh. I motivi della contesa. La paura della Chiesa locale. Tra le vittime ci sarebbe anche un bambino: l’Unicef chiede la massima moderazione

Guglielmo Gallone - Città del Vaticano

Oggi le Forze armate thailandesi hanno riferito che le truppe cambogiane avrebbero prima inviato un drone di sorveglianza e poi aperto il fuoco in un’area vicina al tempio di Ta Moan Thom. Secondo Bangkok, sarebbero state colpite aree civili nelle province di Sisaket, Surin, Ubon, Ratchathani e Buri Ram, provocando almeno 11 morti, tra cui un bambino di otto anni, e 14 feriti. Il ministero della Difesa di Phnom Penh ha sì riconosciuto di aver aperto il fuoco ma per legittima difesa, cioè in risposta ad un’incursione delle controparti thailandesi. Per la Cambogia si tratta di una «azione irresponsabile» che «ha violato gli accordi bilaterali e «messo a repentaglio vite umane», perciò è necessario «perseguire urgentemente una risoluzione pacifica e giuridicamente vincolante attraverso gli opportuni meccanismi internazionali», cioè la Corte internazionale di giustizia. La Thailandia però non ne riconosce la giurisdizione e anzi minaccia di «intensificare la risposta» se la Cambogia «persiste nelle sue operazioni».

Perché conta questa crisi

Lontana dai riflettori,  ci sono almeno due motivi per cui preoccuparsi della crisi in corso tra Thailandia e Cambogia. Il primo: è la seconda volta in due mesi che la situazione  raggiunge le fasi più critiche. Questa volta di mezzo c’è la questione irrisolta delle mine antiuomo che, dal 1979, in Cambogia avrebbero ucciso oltre 18.000 persone. Eppure, l’escalation sta avvenendo nella totale indifferenza internazionale nonostante la responsabilità, radicata nella storia coloniale, dell’Occidente nel non aver garantito una delimitazione precisa dei confini. Ed è questo il secondo motivo per cui preoccuparsi: se una crisi tanto complessa resta lontana dai riflettori, rischia di esplodere da un momento all’altro. Specie quando  le grandi potenze sono impegnate sui fronti più caldi.

Un dialogo difficile

Inoltre, questa crisi si anima sia sul piano militare sia su quello negoziale, dimostrando più di ogni altra cosa la difficoltà al dialogo da parte dei due diretti interessati. Ieri la Thailandia ha richiamato il suo ambasciatore in Cambogia e ha espulso il rappresentante diplomatico cambogiano a Bangkok. Secondo il primo ministro Phumtham Wechayachai, Phnom Penh avrebbe piazzato nuove mine nella zona di confine e, di queste, una avrebbe ferito un soldato thailandese. L’area cui Bangkok fa riferimento è la stessa in cui, lo scorso 28 maggio, è morto un sergente cambogiano, scatenando la crisi diplomatica tra i due Paesi per la sovranità dei quattro siti contesi e le dimissioni dell’ex primo ministro, Paetongtarn Shinawatra: si tratta della catena montuosa di Dângrêk, al confine tra la provincia cambogiana di Oddar Meanchey e quella thailandese di Surin, in cui sorge il tempio di Ta Moan Thom, rivendicato dalla Cambogia perché simbolo dell’impero Khmer, oggi controllato militarmente dalla Thailandia. Il ministero degli Esteri cambogiano ha respinto «categoricamente» le «accuse infondate», ma lo scontro non è finito qui e, dopo i recenti scontri, rischia di allargarsi.

La situazione umanitaria

«Ci siamo svegliati con l’incubo della guerra», ha detto all’agenzia Fides il gesuita padre Enrique Figaredo, prefetto apostolico di Battambang, provincia al confine con la Thailandia. A meno di cento chilometri dal fronte, dove si trova la parrocchia di San Francesco di Assisi in cui si contano 12 famiglie cattoliche, padre Enrique racconta che «la popolazione non comprende il motivo di queste recrudescenze» perché «la frontiera è permeabile, tutti parlano la stessa lingua e le famiglie sono imparentate tra loro». Eppure, il rischio che l’escalation sia solo all’inizio è tutt’altro che isolata, mentre l’Unicef lancia l’allarme: «Massima moderazione e protezione dei bambini».

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui

24 luglio 2025, 13:37