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Assemblea Generale delle Nazioni Unite Assemblea Generale delle Nazioni Unite  (ANSA) Editoriale

Lo Stato di Palestina e la responsabilità della comunità internazionale

La Santa Sede già 25 anni fa aveva siglato un primo accordo di base con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP). Quindi, dieci anni fa, ha firmato un Accordo globale con lo Stato di Palestina entrato poi in vigore nel gennaio 2016

Andrea Tornielli 

Il presidente Emmanuel Macron ha annunciato che la Francia riconoscerà lo Stato di Palestina e che l’annuncio solenne avverrà nel corso dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite il prossimo settembre. Intanto si lavora all’organizzazione della “Conferenza internazionale di alto livello per la soluzione pacifica della questione palestinese e l’attuazione della soluzione dei due Stati”, che avrebbe dovuto tenersi al Palazzo di vetro dell’Onu a New York lo scorso giugno sotto la regia dei governi di Francia e Arabia Saudita, ma che è stata rinviata a causa dell’attacco israeliano all’Iran.

Il dramma in corso a Gaza, le ripetute stragi di decine di migliaia di civili innocenti che hanno perduto la vita sotto le bombe e che ora muoiono di fame e di stenti, o vengono colpiti mentre tentano di raggiungere un po’ di cibo, dovrebbe rendere evidente agli occhi di tutti come sia urgente fermare gli attacchi militari che provocano una carneficina, e al tempo stesso come sia diventata imprescindibile una soluzione della questione palestinese. Soluzione che la Santa Sede invoca costantemente da decenni e che non potrà mai avvenire senza il fattivo contributo della comunità internazionale oltre che dei Paesi direttamente coinvolti.

È utile in proposito ricordare che la Santa Sede già 25 anni fa aveva siglato un primo accordo di base con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP). Quindi, dieci anni fa, ha firmato un Accordo globale con lo Stato di Palestina entrato poi in vigore nel gennaio 2016. Una decisione e un riconoscimento in linea con la preoccupazione espressa dai Pontefici fin dal 1948 per lo stato dei Luoghi Santi e per il destino dei palestinesi. È stato Paolo VI il primo Papa ad affermare esplicitamente che essi erano e sono un popolo, e non soltanto un gruppo di rifugiati di guerra. Il 22 dicembre 1975, Papa Montini chiedeva ai figli del popolo ebraico, che vedevano ormai consolidato il loro Stato sovrano di Israele, di «riconoscere i diritti e le aspirazioni legittime di un altro popolo che ha anch’esso sofferto per lungo tempo», il popolo palestinese.

Nei primi anni Novanta Giovanni Paolo II aveva stabilito relazioni sia con lo Stato di Israele (1993) sia con l’OLP (1994), nel momento in cui sembrava che le parti fossero vicine a un accordo e a un riconoscimento dei due Stati. Nel febbraio 2000, alcuni mesi prima dell’ingresso del primo ministro israeliano Ariel Sharon nella Spianata delle Moschee che diede inizio alla seconda Intifada, la Santa Sede aveva firmato il già citato accordo di base con l’OLP. Arrivando a Betlemme, nel marzo 2000, Giovanni Paolo II aveva detto: «La Santa Sede ha sempre riconosciuto che il popolo palestinese ha il diritto naturale ad avere una patria e il diritto a poter vivere in pace e tranquillità con gli altri popoli di quest’area. A livello internazionale, i miei Predecessori ed io abbiamo ripetutamente proclamato che non si sarebbe potuto porre fine al triste conflitto in Terra Santa senza salde garanzie per i diritti di tutti i popoli coinvolti, sulla base della legge internazionale e delle importanti risoluzioni e dichiarazioni delle Nazioni Unite». 

Nove anni dopo, Benedetto XVI durante la sua visita in Terra Santa aveva ribadito: «Sia universalmente riconosciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. Sia ugualmente riconosciuto che il Popolo palestinese ha il diritto a una patria indipendente sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente. La “soluzione di due Stati” diventi realtà e non rimanga un sogno”. Nel 2012 la Santa Sede aveva dato il proprio sostegno all’ammissione dello “Stato di Palestina” come membro osservatore alle Nazioni Unite.

Papa Francesco, durante il viaggio in Terra Santa del maggio 2014, aveva ripetuto di fronte al presidente palestinese Mahmoud Abbas: «È giunto il momento per tutti di avere il coraggio della generosità e della creatività al servizio del bene, il coraggio della pace, che poggia sul riconoscimento da parte di tutti del diritto di due Stati ad esistere e a godere di pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti». E aveva per la prima volta fatto riferimento al Paese che lo ospitava come “Stato di Palestina”.

Si arrivava così all’Accordo globale tra Santa Sede e Stato di Palestina, del giugno 2015, che insiste sulla soluzione dei due Stati già contemplata nella risoluzione 181 dell’Onu del novembre 1947. Il preambolo dell’Accordo, attraverso un riferimento al diritto internazionale, inquadra alcuni punti chiave, tra i quali: l’autodeterminazione del popolo palestinese, l’obiettivo della soluzione dei due Stati, il significato non solo simbolico di Gerusalemme e il suo carattere sacro per ebrei, cristiani e musulmani, il suo universale valore religioso e culturale come tesoro per tutta l’umanità. Nel preambolo viene dunque riaffermato il diritto del popolo palestinese “alla libertà, alla sicurezza e alla dignità in uno Stato indipendente proprio”, uno “Stato di Palestina indipendente, sovrano, democratico e vitale, sulla base dei confini precedenti al 1967, in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e nella Striscia di Gaza, che viva fianco a fianco in pace e sicurezza con tutti i suoi vicini”.

Richiamando l’Accordo Base con l’OLP del 2000, l’Accordo globale rinnovava la richiesta di una “soluzione equa della questione di Gerusalemme, basata sulle risoluzioni internazionali”, affermando che “decisioni e azioni unilaterali che alterano il carattere e lo status specifici di Gerusalemme sono moralmente e legalmente inaccettabili” e che “ogni misura unilaterale illegale, di qualunque tipo, è nulla e priva di valore” e “costituisce un ostacolo alla ricerca della pace”.

Questo breve excursus attesta la linearità e il realismo della posizione contenuta negli appelli degli ultimi Pontefici, nelle dichiarazioni della Santa Sede alle Nazioni Unite e negli accordi fino ad oggi siglati. Subito dopo il disumano attacco terroristico perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023, Papa Francesco ha condannato la strage e più volte ha chiesto pubblicamente il rilascio di tutti gli ostaggi. Al contempo, nel riconoscere il diritto di Israele a difendersi, la Santa Sede ha ripetutamente chiesto – invano – che non fosse colpito indistintamente tutto il popolo palestinese presente nella Striscia, come pure ha chiesto di fermare gli attacchi da parte dei coloni nei confronti della popolazione palestinese che vive nei territori dello Stato di Palestina comunemente indicati come Cisgiordania. Purtroppo questo non è avvenuto: a Gaza e non soltanto a Gaza si assiste ad attacchi che non possono avere alcuna giustificazione e rappresentano una strage che pesa sulla coscienza di tutti. 

Come ha detto in modo chiaro e inequivocabile Leone XIV all’Angelus di domenica 20 luglio, è urgente e necessario «osservare il diritto umanitario», e «rispettare l’obbligo di tutela dei civili, nonché il divieto di punizione collettiva, di uso indiscriminato della forza e di spostamento forzato della popolazione». La comunità internazionale non può continuare ad assistere inerte al massacro in atto. Ci si augura che la Conferenza internazionale di alto livello per la soluzione pacifica della questione palestinese e l’attuazione della soluzione dei due Stati, cogliendo l’urgenza di una risposta condivisa al dramma dei palestinesi, persegua con determinazione una soluzione per assicurare finalmente a quel popolo uno Stato con confini sicuri, rispettati e riconosciuti.  

 

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26 luglio 2025, 14:34