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2019.02.06 Eutanasia, fine vita, malato, dolce morte

Fine vita, la Consulta ribadisce il suo “no” all’omicidio del consenziente

Pubblicata la sentenza 132 della Corte Costituzionale italiana, sul caso sollevato dalla signora “Libera”: inammissibile che un terzo somministri il farmaco letale. Ma, spiega la Consulta in un comunicato, "è un diritto essere accompagnati nel suicidio assistito dal Servizio Sanitario Nazionale”. Soddisfazione e preoccupazioni dei legali di malati contrari all’eutanasia

Vatican News

Nuovo “no” della Corte costituzionale all’eutanasia. Allo stesso tempo, la Consulta sottolinea il ruolo del Servizio sanitario nazionale nel ricorso al suicidio assistito, tema dibattuto nella legge sul fine vita in discussione al Senato. “Con la sentenza numero 132, depositata oggi, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 579 del Codice penale, sollevate dal Tribunale di Firenze in riferimento agli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione”, si legge nel comunicato pubblicato dalla Corte stessa. 

La legittimità costituzionale dell'articolo 579 del Codice penale

L’articolo 579 del Codice penale, punendo l’omicidio del consenziente, vieta l’atto eutanasico compiuto dal terzo nei confronti della persona che si trova nelle condizioni per accedere al suicidio assistito, ma per impossibilità fisica o mancanza degli strumenti, non può procedervi in autonomia e chiede sia un terzo a darle la morte. Non va confuso con l’articolo 580, che riguarda l’aiuto al suicidio, su cui la Consulta è già intervenuta, mettendo dei paletti che ne giustificano in specifiche circostanze la non punibilità. In sostanza, rigettando la questione di legittimità costituzionale, la Consulta non apre a una facilitazione di decisioni eutanasiche da parte di persone gravemente malate.

Il comunicato della Consulta

“Il giudizio – ricorda la Consulta - è stato instaurato da una persona affetta da sclerosi multipla”, la signora “Libera”, nome di fantasia da lei stessa scelto, 55enne toscana, affetta da sclerosi multipla progressiva, completamente paralizzata e per questo impossibilitata ad assumere da sola un farmaco per procurarsi la morte. Libera, continua la Corte, “trovandosi nelle condizioni indicate dalla sentenza numero 242 del 2019 per l'accesso al suicidio medicalmente assistito, come verificate dall'azienda sanitaria territorialmente competente, versa tuttavia nell'impossibilità di procedere all'autosomministrazione del farmaco letale, in quanto priva dell'uso degli arti, a causa della progressione della malattia, e non essendo reperibile sul mercato la strumentazione necessaria all'attuazione autonoma del suicidio assistito, cioè una pompa infusionale attivabile con comando vocale ovvero tramite la bocca o gli occhi, uniche modalità consentite dallo stato attuale di progressione della malattia”.

La situazione della signora "Libera" e il Tribunale di Firenze

La situazione della signora Libera, quindi, è quella di chi si trova nelle quattro condizioni indicate dalla sentenza 242 del 2019 della Consulta per depenalizzare l’articolo 579 sul suicidio assistito (irreversibilità della malattia, gravi sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili, dipendenza da sostegni vitali, chiara capacità di decidere in autonomia), tuttavia il giudice chiamato a pronunciarsi si è chiesto se non fosse incostituzionale impedire a una terza persona, con l’articolo 580 del Codice penale, somministrare il farmaco letale. “Il Tribunale di Firenze – ricostruisce la Corte costituzionale - ha censurato l'articolo 579 del Codice penale, che punisce il reato di omicidio del consenziente, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, sussistenti le condizioni di accesso al suicidio medicalmente assistito, attui materialmente la volontà del malato il quale, per impossibilità fisica e per assenza di strumentazione idonea, non possa procedervi in autonomia”. Secondo il Tribunale, è scritto ancora nel comunicato della Consulta, “la punibilità della condotta del terzo impedirebbe al malato di attuare la propria scelta di fine vita per il dato meramente accidentale dell'incidenza della patologia sull'uso degli arti, venendosi in tal modo a determinare un'irragionevole disparità di trattamento rispetto ai pazienti che tale uso abbiano conservato e producendosi altresì una lesione del diritto del malato all'autodeterminazione”.

Le motivazioni dell'inammissibilità del ricorso

La Corte costituzionale però ha ritenuto inammissibile la questione perché “il giudice non ha motivato in maniera né adeguata, né conclusiva, in merito alla reperibilità di un dispositivo di autosomministrazione farmacologica azionabile dal paziente che abbia perso l'uso degli arti”. Per la Consulta, il giudice si è fermato “all'interlocuzione intercorsa con l'azienda sanitaria locale”, e si è limitato “a una presa d'atto delle semplici ricerche di mercato di una struttura operativa del Servizio sanitario regionale, mentre avrebbe dovuto coinvolgere organismi specializzati operanti, col necessario grado di autorevolezza, a livello centrale, come, quanto meno, l'Istituto superiore di sanità, organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale”. Per la Consulta, “ove tali dispositivi potessero essere reperiti in tempi ragionevolmente correlati allo stato di sofferenza della paziente, questa avrebbe diritto ad avvalersene”.

Il ruolo del Servizio sanitario nazionale

In riferimento al ruolo del Servizio sanitario, la Corte afferma che la signora Libera “ha una situazione soggettiva tutelata, quale consequenziale proiezione della sua libertà di autodeterminazione, e segnatamente ha diritto di essere accompagnata dal Servizio sanitario nazionale nella procedura di suicidio medicalmente assistito, diritto che, secondo i principi che regolano il servizio, include il reperimento dei dispositivi idonei, laddove esistenti, e l'ausilio nel relativo impiego. A tanto il Servizio sanitario nazionale è tenuto - sottolinea la Corte nella sentenza - nell'esplicazione di un doveroso ruolo di garanzia che è, innanzitutto, presidio delle persone più fragili”.

Il dibattito sulla legge sul "fine vita"

Il comunicato della Corte costituzionale non fa riferimenti alla legge ora in discussione al Senato. In precedenti pronunciamenti sul fine vita, la Consulta aveva spronato il Parlamento ad agire, avendo come riferimento la sentenza 242 del 2019 e i successivi pronunciamenti. La sentenza sul caso della signora Libera sembra chiarire ancora di più che i tribunali non possono forzare l’ordinamento in direzione eutanasica, allo stesso tempo ribadisce il “diritto” della persona che si trova nelle condizioni di poter accedere al suicidio assistito ad essere “accompagnata” dal Servizio sanitario. Al momento il testo-base in discussione prevede l’esclusione della Sanità pubblica dai percorsi di fine vita tramite suicidio assistito, e questo è oggetto di un confronto spesso aspro tra maggioranza e opposizione.

La soddisfazione dei legali di malati contrari all’eutanasia

Gli avvocati Mario Esposito e Carmelo Leotta, difensori della signora Maria e del signor Vanny, malati affetti da patologie irreversibili e sottoposti a trattamenti di sostegno vitale, contrari all’introduzione dell’eutanasia e ammessi come parti al processo costituzionale all’udienza dell’8 luglio scorso, in un comunicato, manifestano “soddisfazione per la decisione”. Secondo loro infatti, la Corte, non solo “ha dichiarato la questione inammissibile e non ha introdotto l’eutanasia in Italia”, ma nella sua decisione ha tenuto in considerazione “i rilievi fatti dagli stessi malati che, a seguito del suicidio assistito del Sig. Daniele Pieroni, avvenuta in Toscana per via endovenosa, avevano rappresentato con le memorie difensive depositate alla Corte, che fosse del tutto incerta e non pienamente verificata l’indisponibilità della pompa infusionale per fare il suicidio, circostanza di fatto su cui si fondava la questione di legittimità costituzionale, oggi dichiarata inammissibile”.

La preoccupazione per il ruolo del Servizio sanitario nazionale

Nonostante la soddisfazione per il dispositivo della sentenza, concludono i due legali “i malati che vogliono vivere e si oppongono all’eutanasia e al suicidio assistito non possono non manifestare grave preoccupazione per l’affermazione contenuta nella sentenza oggi depositata, secondo cui la persona che intenda accedere alla morte medicalmente assistita sarebbe titolare di un ‘diritto di essere accompagnata dal Servizio sanitario nazionale nella procedura di suicidio medicalmente assistito, diritto che, secondo i principi che regolano il servizio, include il reperimento dei dispositivi idonei, laddove esistenti, e l’ausilio nel relativo impiego’”. Tale affermazione, si legge nel comunicato, assente nelle precedenti sentenze della Corte Costituzionale, è in “evidente contraddizione con le disposizioni della legge n. 833/1G78, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, che, per legge, ‘è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio’”.

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25 luglio 2025, 18:14