Blocchi alle navi ONG rallentano i salvataggi in mare
Sara Costantini – Città del Vaticano
Dal febbraio 2023, le imbarcazioni delle organizzazioni non governative impegnate nelle operazioni di soccorso nel Mediterraneo centrale sono state oggetto di 29 fermi amministrativi, per un totale di 700 giorni trascorsi nei porti, invece che in mare. È quanto riportano 32 organizzazioni della società civile, che hanno lanciato un appello chiedendo la rimozione degli ostacoli che rallentano o impediscono le attività di ricerca e salvataggio. Secondo i dati diffusi, le stesse navi hanno impiegato ulteriori 822 giorni per raggiungere porti di sbarco assegnati a distanze ritenute eccessive, percorrendo complessivamente oltre 330.000 chilometri di navigazione. Le organizzazioni firmatarie, tra cui Emergency, Open Arms, Sea-Watch e SOS Mediterranee, sottolineano il ruolo cruciale di queste imbarcazioni, specialmente quelle di dimensioni ridotte, nel sorvegliare le rotte migratorie, fornire i primi soccorsi e trasferire i naufraghi su navi più attrezzate.
Fermi e restrizioni
Le misure restrittive, che in un primo momento riguardavano esclusivamente le navi SAR (Search and Rescue) impegnate nelle operazioni di salvataggio, sono state successivamente estese anche ai mezzi di dimensioni più ridotte utilizzati principalmente per attività di monitoraggio e sorveglianza. Nel corso dell’ultimo mese, tre imbarcazioni sono state sottoposte a fermi amministrativi in base al cosiddetto Decreto Piantedosi, una normativa entrata in vigore a gennaio 2023 e successivamente modificata attraverso la legge di conversione del Decreto Flussi approvata nel dicembre 2024. Tra queste imbarcazioni, la Nadir, gestita dall’organizzazione Resqship, è stata bloccata per ben due volte, mentre la Sea-Eye 5, appartenente a Sea-Eye, è stata fermata una volta, con l’accusa di non aver rispettato le indicazioni impartite dalle autorità competenti. Inoltre, in alcuni casi specifici, gli equipaggi delle imbarcazioni sono stati sollecitati a procedere con trasbordi selettivi dei naufraghi, basandosi su criteri di vulnerabilità stabiliti dalle autorità. Questa modalità operativa, secondo quanto segnalano le Ong, risulta particolarmente complessa da attuare in condizioni di sicurezza immediatamente dopo un salvataggio in mare, a causa delle difficoltà logistiche e delle esigenze mediche dei naufraghi stessi.
La tutela dei diritti
Le 32 organizzazioni coinvolte nel soccorso in mare sottolineano come, in diverse occasioni recenti, numerosi tribunali abbiano emesso sentenze che hanno annullato sanzioni e fermi amministrativi precedentemente imposti alle imbarcazioni di soccorso in mare, giudicandoli illegittimi. Questo riconoscimento giuridico rafforza la posizione delle organizzazioni impegnate nelle operazioni di salvataggio. Dal punto di vista normativo, le Ong richiamano con forza il diritto marittimo internazionale, che stabilisce chiaramente l’obbligo di prestare soccorso a chiunque si trovi in pericolo in mare aperto, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione. Inoltre, sottolineano l’importanza che gli Stati facilitino e supportino concretamente queste operazioni di salvataggio, eliminando ostacoli burocratici o legislativi. In questo contesto, alcune delle organizzazioni firmatarie avanzano la richiesta di istituire una missione di ricerca e soccorso finanziata e coordinata dall’Unione Europea, con l’obiettivo di migliorare l’efficacia e la sicurezza delle attività di soccorso nel Mediterraneo centrale.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui