Trump: Israele ha accettato una tregua a Gaza di 60 giorni
Giada Aquilino - Città del Vaticano
Un cessate-il-fuoco a Gaza entro 60 giorni. Parola di Donald Trump, che alla vigilia dall’incontro fissato per lunedì alla Casa Bianca con il premier israeliano Benjamin Netanyahu assicura come le «condizioni necessarie per finalizzare» l’intesa siano state accettate da Israele. Durante i due mesi di tregua, ha aggiunto il presidente degli Stati Uniti, si lavorerà «con tutte le parti per porre fine alla guerra». Qatar ed Egitto, «che hanno lavorato duramente per contribuire a portare la pace», presenteranno la proposta finale dell’intesa. Trump ha inoltre dichiarato di augurarsi, «per il bene del Medio Oriente», un’adesione di Hamas all’accordo perché in caso contrario, ha voluto sottolineare, «la situazione non migliorerà, anzi, peggiorerà».
La posizione di Hamas
Non si è fatta attendere la risposta della fazione islamica, che peraltro non si discosta dalle precedenti posizioni: Hamas è «pronta e seriamente intenzionata a raggiungere un accordo», ha detto un suo esponente, Taher al-Nunu, insistendo però sul punto che qualsiasi intesa dovrà porre fine «completa» al conflitto. Nei precedenti round di trattative, Hamas aveva fatto sapere di essere disposta a liberare i restanti 50 ostaggi israeliani nelle proprie mani — meno della metà dei quali sarebbe ancora in vita — in cambio del ritiro completo di Israele da Gaza e dello stop definitivo ai combattimenti. Israele invece poneva come condizione necessaria la resa di Hamas. Un incontro con i mediatori potrebbe avvenire comunque già in queste ore.
Proseguono i bombardamenti
Ma sul terreno rimane l’emergenza, mentre proseguono i raid israeliani in tutta la Striscia: dall’alba hanno colpito il campo di sfollati di al-Mawasi, a ovest di Khan Younis, Gaza City e Deir el-Balah, con un bilancio di oltre 30 morti, secondo fonti mediche locali citate da Al Jazeera.
L'appello di Caritas Internationalis e ong
L’Onu ha intanto condannato «fermamente» le uccisioni dei palestinesi in attesa di ricevere aiuti umanitari causate dai bombardamenti israeliani, invocando — ha affermato il sottosegretario generale per il Medio Oriente, Mohamed Khaled Khiari — un’indagine «immediata e indipendente» sugli episodi di attacchi contro i civili che non fanno che ripetersi in particolare, ha sottolineato, nei punti di distribuzione di cibo della Gaza humanitarian foundation (Ghf), sostenuta da Israele e Stati Uniti. Nelle scorse ore era stato un gruppo di 160 enti caritativi e ong, a cui si è unita anche Caritas Internationalis, a invocare un intervento immediato per porre fine al programma di distribuzione in atto, compreso quello della Ghf, ripristinando i meccanismi di coordinamento guidati dalle Nazioni Unite e revocando il blocco imposto dal governo israeliano agli aiuti e alle forniture commerciali.
Oltre 500 palestinesi sono stati uccisi e quasi 4.000 sono rimasti feriti dal fuoco israeliano mentre cercavano aiuto da quando il sistema di distribuzione ha iniziato a operare a fine maggio, hanno denunciato le organizzazioni in una nota, esortando ad accertare «le responsabilità per le gravi violazioni del diritto internazionale». Le organizzazioni hanno chiesto inoltre a tutti gli Stati terzi di «adottare misure concrete per porre fine all'assedio soffocante e garantire il diritto dei civili di Gaza di accedere in sicurezza agli aiuti e ricevere protezione», «esortare i donatori a non finanziare programmi di aiuti militarizzati che violano il diritto internazionale, non rispettano i principi umanitari, aggravano i danni e rischiano di rendere complici di atrocità» e «sostenere il ripristino di un meccanismo di coordinamento unificato guidato dall’Onu».
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