Ripartire dal capitale umano per garantire un futuro all’Ucraina
Giada Aquilino – Città del Vaticano
Riportare le persone al centro del dibattito pubblico e politico sull’Ucraina non è un «concetto astratto» bensì un «esercizio necessario e condiviso» per la ricostruzione del Paese e per generare una società più «coesa e resiliente». È la riflessione emersa all’evento “Empowered Ukraine: ripartire dal capitale umano”, promosso oggi a Roma, alla Fondazione Basso, da Caritas Italiana, Alleanza delle organizzazioni della società civile e Piattaforma delle ong umanitarie in Ucraina, in collaborazione con Fondazione Avsi, Comunità di Sant’Egidio, Cuamm, Focsiv, Missione Calcutta, Vis e WeWorld.
Emergenza e vulnerabilità
Alla vigilia della Ukraine recovery conference 2025, in programma domani e venerdì nella capitale italiana dopo quelle di Lugano (2022), Londra (2023) e Berlino (2024), l’appuntamento ha focalizzato l’attenzione sul capitale umano come leva imprescindibile per garantire una ripresa duratura, equa e sostenibile dell’Ucraina. Perché per «capitale umano intendiamo le persone, ma anche il capitale sociale, quindi le comunità, in una realtà che si deve poi interfacciare con le istituzioni, con il privato, con l’economia», spiega in una conversazione con i media vaticani Silvia Sinibaldi, vicedirettrice di Caritas Italiana. Vuol dire, aggiunge, «riconoscere le persone, le comunità, le famiglie, le società che sono ferite dalla guerra, ripartendo anche dalla cura dei traumi e dal riconoscimento non solo della vittima, ma pure della persona come potenziale di ricostruzione per un futuro di sostenibilità e solidità». È vero, osserva Sinibaldi richiamando le considerazioni di Anna Zumbo, esperta di Rafforzamento delle organizzazioni e sviluppo di comunità per StudioKappa Empowerment, che «queste comunità hanno dimostrato di essere ferite, ma hanno sperimentato una resilienza e una visione di futuro che sta dando loro la possibilità di sopravvivere» dopo tre anni e mezzo di guerra. «In questo momento l’Ucraina purtroppo si trova in una fase di emergenza protratta. E più l’emergenza si protrae, più le vulnerabilità si intensificano: bambini che hanno bisogno di andare a scuola, persone disabili che hanno necessità di essere riconosciute, tantissimi anziani rimasti soli, famiglie lacerate dalle perdite dovute alla guerra e costrette a spostarsi all’interno del Paese. Si tratta di un’emergenza che deve essere riconosciuta». In tale contesto Caritas Italiana, in collaborazione con Caritas Spes Ukraine e Caritas Ucraina, porta avanti progetti concreti «di apertura di centri sociali che possono accogliere e ascoltare, in una sorta di accompagnamento alle persone». Nel settore della salute, e in particolare quella mentale, si assicura una «fornitura di sostegno medico in contesti di solitudine», ma si fa fronte «anche alla necessità di socialità, all’accompagnare i più piccoli, perché bambini, anziani e persone disabili sono le tre categorie a cui di più ci rivolgiamo con i nostri progetti, che sono trasversali e guardano allo sviluppo integrale dell’uomo».
L'escalation sul terreno
D’altra parte, sul terreno si assiste «da tempo a un’escalation, almeno dallo scorso settembre», testimonia Tetiana Stawnychy, presidente di Caritas Ucraina. «Il numero di attacchi con droni in un mese - fa notare - è aumentato dai 400 dello scorso anno a circa 4.000, senza contare i missili. Ci sono inoltre movimenti lungo le linee del fronte, in modo piuttosto intenso dall’autunno scorso: le persone che vengono evacuate da quelle zone sono molto vulnerabili, hanno bisogno di assistenza speciale: di solito si tratta di anziani che non sono riusciti a partire prima». Alla vigilia della Ukraine Recovery Conference, Caritas Ucraina – che opera assieme a una piattaforma di oltre 110 ong, nazionali e internazionali – vuole ricordare come la crisi nel Paese sia «così grave che è necessario che tutti si siedano al tavolo delle trattative: tutti hanno un ruolo da svolgere», evidenzia Stawnychy, a nome di «un fronte unito che riconosce l’importanza della società civile nella risposta umanitaria, oltre che nella fase di ripresa iniziale e nella stabilizzazione».
Il ruolo di ong e società civile
A Kyiv opera anche Ngo Girls, un’organizzazione che promuove iniziative educative, sociali ed economiche per donne e ragazze. La direttrice, Julia Sporysh, racconta che «la situazione è sempre più complicata perché le ragazze e le donne vivono sotto stress, tra i bombardamenti e le tante pressioni in termini economici, di sviluppo, di istruzione». L’impegno delle ong è «fondamentale, perché siamo i primi a intervenire, com’è successo per esempio alla diga di Kakhovka» lungo il fiume Dnipro, due anni fa, quando «le ong e la società civile furono le prime, insieme ai servizi di emergenza statali, ad arrivare sul posto per aiutare le persone, occupandosi sia dell’evacuazione sia del sostegno psicologico». La sfida oggi è quella delle conseguenze dei tagli nei finanziamenti allo sviluppo, che si traduce - constata la direttrice di Ngo Girls - in una «diminuzione del sostegno alle attività umanitarie, meno soldi per il sostegno psicologico, per le attività educative, per la ricostruzione del Paese, degli edifici dopo i bombardamenti».
I costi umanitari della guerra
Eppure quest’anno, 12,7 milioni di persone (un terzo della popolazione) avranno bisogno di assistenza umanitaria in Ucraina, rivela l’organizzazione umanitaria WeWorld, evidenziando peraltro come il conflitto abbia acuito le disuguaglianze di genere nel cosiddetto settore Wash (water, sanitation and hygiene). Impegnata sul terreno già dal marzo 2022, la onlus si occupa principalmente di «tutto quello che è acqua, igiene, sanità e shelter», quindi rifugi, riferisce Piero Meda, rappresentante Paese di WeWorld in Ucraina. «Con i nostri partner locali, aiutiamo la riparazione delle case colpite ma ci occupiamo anche della protezione e dell’educazione dei bambini», aggiunge Meda, condividendo inoltre i risultati del recente rapporto “Her future at risk”, sui costi umanitari della guerra. «Abbiamo appena concluso uno studio che riporta il nostro lavoro degli ultimi tre anni in Ucraina, dal quale emerge come le donne e le ragazze - mette in luce - siano quelle che soffrono di più. Su acqua e igiene in generale abbiamo realizzato più di 500 interviste a donne e ragazze e abbiamo rilevato come una su cinque non abbia facilità di accesso ai prodotti per la salute mestruale», problema «globale» nelle realtà di crisi «e in Ucraina particolarmente grave soprattutto tra le ragazze e le donne sfollate». Al contempo, sottolinea il rappresentante di WeWorld, «emerge fortemente il ruolo chiave in Ucraina del lavoro invisibile delle donne: senza di loro la tenuta sociale sarebbe già crollata».
Scuole chuse in molte regioni
In un contesto sempre più critico continua il proprio impegno anche la Fondazione Avsi, che opera nel Paese «già dall’inizio dell’emergenza nel 2014», ricorda Maria Gaudenzi, desk officer per l’Ucraina della Fondazione Avsi. «Ora siamo operativi in diverse regioni sud-orientali nei settori dell’educazione, della protezione dell’infanzia, a supporto dei gruppi più vulnerabili: nel tempo - prosegue - abbiamo adattato i primi interventi di carattere più assistenziale e umanitario ad una prospettiva di lungo periodo, attivando e gestendo centri comunitari polifunzionali aperti a tutti, sette giorni su sette, che offrono soprattutto servizi in ambito educativo e socioeducativo. Le scuole sono chiuse in alcune regioni dall’inizio del conflitto, con implicazioni molto pesanti non solo sull’apprendimento ma anche sul benessere psicosociale e psicologico dei bambini e delle loro famiglie».
Ai partecipanti alla Conferenza per la ripresa dell’Ucraina co-organizzata dai governi italiano e ucraino, che a Roma sta convogliando in queste ore circa 5.000 persone, l’appello è allora quello «di perseguire una pace che sia giusta», ribadisce Silvia Sinibaldi di Caritas Italiana, richiamando le parole di Papa Leone XIV e di Papa Francesco a non «abituarci» alla guerra, perché essa è «sempre» una sconfitta.
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