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Un veicolo militare cambogiano BM-21 nella provincia di Oddar Meanchey Un veicolo militare cambogiano BM-21 nella provincia di Oddar Meanchey 

Cambogia-Thailandia, resta alta la tensione: 20 morti e 138.000 sfollati

L'Onu convoca oggi una riunione del Consiglio di Sicurezza. Bangkok parla del rischio di una guerra. Monsignor Olivier Schmitthausler, vicario apostolico di Phnom Penh: "Un forte senso di nazionalismo sta crescendo nella popolazione"

Guglielmo Gallone - Città del Vaticano

«Gli scontri al confine con la Cambogia potrebbero degenerare in uno stato di guerra»: non sono rassicuranti le parole del primo ministro ad interim della Thailandia, Phumtham Wechayachai, riportate oggi dalla Bbc. Segnano anzitutto un’escalation linguistica, ieri nessuno aveva parlato pubblicamente di “guerra”, quindi negoziale e diplomatica, che è alla base della difficoltà nel promuovere una risoluzione pacifica per una contesa sì geografica ma radicata nel passato coloniale e nell’identità culturale dei due Paesi.

La situazione sul terreno

Soprattutto, queste parole vengono pronunciate sullo sfondo di una situazione militare che, da 24 ore, non fa altro che peggiorare: ripresi il 28 maggio, divampati ieri in sei località diverse, gli scontri finora hanno provocato 20 morti thailandesi (quasi tutti civili) e  oltre 138.000 sfollati thailandesi,  un morto cambogiano e quattro feriti. Se ieri la Thailandia aveva accusato la Cambogia di aver piazzato nuove mine antiuomo lungo il confine, oggi Phnom Penh ha accusato Bangkok di utilizzare munizioni a grappolo all’interno del territorio cambogiano, in quello che ha definito un ripetersi delle «tattiche brutali» impiegate  durante gli scontri del 2011. La Thailandia ha inoltre diffuso il video di un drone che colpisce un deposito di armi cambogiano e avrebbe schierato sei jet da combattimento F-16, uno dei quali ha bombardato un obiettivo militare cambogiano. Bangkok ha definito il suo attacco aereo come una mossa difensiva, mentre la Cambogia ha parlato di aggressione. Anche se Bangkok ha respinto l’accusa cambogiana, sotto il fuoco thailandese sarebbe finito pure il tempio di Preah Vihear, patrimonio dell’Unesco e simbolo dello scontro tra i due Paesi poiché rivendicato dalla Cambogia come eredità dell’impero Khmer ma oggi gestito dalla Thailandia. Secondo Nikkei Asia, le Forze armate thailandesi avrebbero pronto un piano per mobilitare i mezzi terrestri, aerei e navali qualora gli scontri con l’esercito cambogiano dovessero intensificarsi, come peraltro annunciato dal primo ministro che, oggi, ha inviato sul campo quattro rappresentanti del governo.

La voce e le paure della Chiesa cattolica

Per capire meglio cosa sta avvenendo, i media vaticani hanno raggiunto al telefono monsignor Olivier Schmitthausler, Vicario apostolico di Phnom Penh: «Thailandia e Cambogia sono Paesi fratelli. Attualmente, circa due milioni di cambogiani vivono e lavorano in Thailandia. Le relazioni economiche bilaterali erano buone, ma dalla fine di maggio abbiamo assistito a un’escalation con la chiusura delle frontiere, l’interruzione delle connessioni internet dalla Thailandia, la cessazione delle importazioni di elettricità dalla Thailandia e la cessazione delle importazioni di frutta, verdura e vari prodotti alimentari». Di conseguenza, prosegue monsignor Schmitthausler, «alcuni lavoratori cambogiani stanno tornando in Cambogia dopo diversi anni trascorsi in Thailandia. Non hanno più case qui, non hanno più terra da coltivare e devono cercare lavoro. Quindi, la situazione economica sta peggiorando. E negli ultimi due giorni si è verificata questa escalation di violenza, che è assolutamente terribile. Ieri, in particolare, abbiamo assistito a quasi 24 ore di scontri a fuoco da entrambe le parti. Ci sono movimenti di truppe e un accumulo di soldati e carri armati su entrambi i lati del confine. Ieri un aereo da caccia thailandese ha aperto il fuoco sul famoso tempio simbolico di Preah Vihear in Cambogia, subendo alcuni danni». Gli scontri si stanno svolgendo nella regione di Battambang, dunque lontano, a circa cento chilometri, dalla piccola comunità cattolica locale. «Ma oltre ai fedeli, tutti i cambogiani sono colpiti, buddisti, cristiani e musulmani — prosegue il Vicario apostolico — e tutti sono sommersi da montagne di informazioni sui social media, dove ognuno condivide la propria opinione, insieme a una moltitudine di fake news. La situazione è piuttosto complicata, ma è chiaro che un forte senso di nazionalismo sta crescendo nella popolazione. Sostengono il governo, sostengono l’esercito e si dicono pronti a combattere».

La dimensione internazionale del conflitto

Do fronte a un’escalation che non è solo militare bensì  anche sociale e identitaria, non sono mancati gli appelli degli Stati asiatici, in particolare Cina, Giappone, Singapore, Vietnam, Filippine e Malaysia, e degli Stati Uniti affinché si trovi una soluzione pacifica del conflitto, anche attraverso un cessate-il-fuoco. Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha esortato le due parti  a risolvere la disputa frontaliera attraverso il dialogo, mentre il Consiglio di sicurezza Onu terrà oggi una riunione di emergenza su richiesta dei due Stati. Tuttavia, un ostacolo fondamentale a una soluzione anche temporanea del conflitto, oltre alle tendenze nazionaliste alimentate dalle vittime civili e dal destino delle rovine del tempio di Angkor, è l’aspra rottura tra gli ex leader Hun Sen e Thaksin Shinawatra, i cui figli ora ricoprono la carica di primo ministro di entrambi i Paesi. Il conflitto in corso pone inoltre una sfida impegnativa per l’Asean, che vanta uno storico periodo di pace tra i suoi membri sin dalla fondazione nel 1967. Soprattutto perché Thailandia e Cambogia sembrano dissentire non solo sulle cause del conflitto ma pure su come risolverlo, con Bangkok che resta più diffidente dagli strumenti del diritto internazionale. Questioni ben note alla cronaca internazionale e che ora rischiano di ripetersi nel Sud-Est asiatico. Eppure, come ha concluso ai media vaticani monsignor Schmitthausler, «aggiungere una guerra in due piccoli paesi del Sud-Est asiatico, nell’attuale situazione di fragilità economica e di instabilità mondiale, è inimmaginabile».

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25 luglio 2025, 14:01