Sudan, padre Luke ultima vittima di una guerra dimenticata
Giada Aquilino - Città del Vaticano
È stata la preghiera di Leone XIV, ieri all’Angelus, a ridestare l’attenzione internazionale su un conflitto riguardo al quale, da tempo, si erano spenti i riflettori: quello in Sudan, sconvolto «da oltre due anni» di guerra tra esercito di Khartoum e paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf). Proprio di quella violenza e del clima di insicurezza che pervade tutto il Paese africano dal 15 aprile 2023 è rimasto vittima padre Luke Jumu, parroco di El Fasher, ha ricordato il Papa, pregando per il sacerdote e per tutte le vittime del conflitto e invocando al contempo che si fermino i combattimenti, si protegga e si aiuti la popolazione e si intraprenda un dialogo di pace.
Uccisi il sacerdote e due giovani
Secondo padre Abdallah Hussein, vicario generale della diocesi di El Obeid, che ha condiviso una dichiarazione con Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), la causa della morte del parroco di Nostra Signora Aiuto dei Cristiani, avvenuta il 13 giugno, «è stata un proiettile vagante che ha tolto la vita a lui e ad altri due giovani». Acs, in una nota, evidenzia come padre Luke sia il «primo sacerdote ucciso» in questa guerra.
Era in corso, aggiunge Acs, un attacco dei paramilitari dell’Rsf su El Fasher, dove — «sebbene molti cristiani siano riusciti a fuggire» — risiedono ancora circa 300 famiglie, perlopiù anziani, donne e bambini, ma anche altre persone costrette dagli scontri a lasciare diverse zone del Paese.
L'allarme dei vescovi
Nei giorni scorsi l’agenzia di stampa Aci Africa aveva diffuso le prime notizie di un attacco che il 12 giugno aveva colpito la casa in cui padre Luke risiedeva, nella capitale dello Stato del Nord Darfur. A comunicare quanto accaduto era stato il vescovo di El Obeid, monsignor Yunan Tombe Trille Kuku Andali, che aveva avvertito un altro presule, monsignor Eduardo Hiiboro Kussala, della diocesi sudsudanese di Tombura-Yambio: in quel momento però si era parlato di un attacco in cui il sacerdote era rimasto «gravemente ferito». Poi il triste epilogo.
Le contraddizioni del Paese: oro e povertà
El Fasher è l’ultima roccaforte dell’esercito in Darfur, dov’è in corso un’offensiva dei paramilitari che controllano gran parte della vasta regione occidentale del Paese. Al momento la città rimane circondata, fa sapere ancora Acs, nonostante l’Onu abbia chiesto l’ingresso degli aiuti umanitari, «che le milizie hanno rifiutato». Alla periferia di El Fasher sorge peraltro il grande campo per sfollati di Zamzam, da cui a causa di ripetuti attacchi attribuiti alle Rsf sono fuggite almeno 400.000 persone. Adesso, si apprende da varie ong, sarebbe diventato una base per le operazioni dei paramilitari.
La guerra in Sudan, in un bilancio difficile da verificare sul terreno, ha causato decine di migliaia di morti e oltre 13 milioni di profughi, con ampie parti del Paese afflitte dalla carestia e dal colera. A causa del conflitto, il terzo produttore di oro in Africa ha visto la sua popolazione precipitare nella povertà: secondo un recente rapporto della Banca mondiale, nel 2024 il 71% degli abitanti viveva con meno di 2,15 dollari al giorno (1,75 euro), contro il 33% del 2022. A incidere, anche i danni causati dalle operazioni belliche al settore agricolo, tradizionalmente vitale per il Paese.
Ultimo aggiornamento: lunedì 16 giugno ore 13:47
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