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La sede del comune di Fermo, a piazza del Popolo La sede del comune di Fermo, a piazza del Popolo 

Bagliori di pace, a Fermo la memoria e la resistenza costruiscono comunità

Al Festival della Comunicazione delle Paoline e dei Paolini si torna a dare valore alla storia e a rafforzare il tessuto sociale. Ottant'anni dopo la Seconda Guerra mondiale, raccontare per tramandare. Iacopini: siamo un popolo costruttore di pace

Guglielmo Gallone e Michele Raviart - Fermo

Resistere alla Repubblica Sociale Italiana, contrastare l’avanzata nazista e mettersi in salvo dai contrattacchi degli alleati anglo-americani: è stata questa la triplice sfida che ha dovuto affrontare la comunità del fermano, nelle Marche, ottant’anni fa, nell’ultima fase della Seconda guerra mondiale. Qui la resistenza non è stata solo lotta armata o scelta politica. È stata fame condivisa, il coraggio di donne che nascondevano gli ebrei nei fienili e la tenacia di chi educava i giorni mentre tutto, attorno, crollava.

Il Festival della comunicazione

Oggi pomeriggio, 5 giugno, quel filo di umanità è riemerso nell’incontro Bagliori di pace”, promosso nella biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo all’interno del Festival della comunicazione organizzato dalle Paoline e dai Paolini. A partecipare, la professoressa Maura Iacopini, autrice del libro intitolato proprio “Bagliori di pace in tempo di guerra” (Andrea Livi Editore, 2009), ed Ettore Fedeli, presidente dell’Università Popolare di Fermo, città dell’apprendimento e della memoria, moderati dal giornalista e scrittore Adolfo Leoni. Un appuntamento che, in linea con il festival dedicato ad “accendere la speranza perché un’altra comunicazione è possibile”, non si è limitato a raccogliere ricordi, ma ha visto tutti i partecipanti dare voce a una comunità capace di scegliere — persino sotto le bombe — di restare umana. Comunità che oggi si interroga su come raccontare, educare, tramandare. Perché, in pieno spirito intergenerazionale, quei “bagliori” possono ancora illuminare il presente.

Costruttori di pace

“Siamo stati un popolo costruttore di pace”, afferma con convinzione Maura Iacopini in un’intervista ai media vaticani, “la nostra terra faceva parte della Repubblica di Salò, era occupata dai tedeschi e sotto attacco degli anglo-americani. Tutta la popolazione civile era costantemente a rischio. Eppure, qui l’umanità non è scomparsa. Le donne delle campagne aiutavano chiunque nella semplicità della vita quotidiana. Ci hanno raccontato di quando, ad Amandola, tantissimi ebrei furono protetti e nascosti. Oppure di quando le mamme, vedendo i soldati tedeschi in ritirata, imbattendosi negli occhi impauriti del nemico, hanno pensato ai loro figli prigionieri in Germania”.  Il confine tra “noi” e “loro” si frantuma così nella compassione, nella capacità di guardare l’altro come essere umano. E diventa parte attiva, formativa all’interno di un volume che, ribadisce Iacopini, “è uno studio fatto con documenti storici d’archivio e riviste d’epoca, ma soprattutto con gli studenti giovani e con le testimonianze di chi, in prima persona, ha vissuto gli ultimi difficilissimi anni della guerra. Questa sinergia lo ha reso sì un libro storico sulla guerra, ma anche un libro diverso da tanti altri nel quale a narrare la storia sono tante storie”.

Il cristianesimo come lievito sociale

Qui, di fronte alla violenza imposta, c’era chi rischiava la vita per un gesto buono, piccolo solo all’apparenza. Adolfo Leoni, giornalista e scrittore, ricorda l’esempio di don Ernesto Ricci, il sacerdote che durante la guerra accolse nella chiesa del Carmine 400 ragazzi da istruire e nutrire. “Se abbiamo avuto nel nostro territorio fino al 2013 ben 23 mila aziende su 170 mila abitanti, lo dobbiamo anche a lui. Don Ernesto ha reso grande la provincia di Fermo anche perché, dietro quei numeri, c’è una cultura relazionale, comunitaria, fondata sul cristianesimo vissuto come lievito sociale”. Leoni ricorda poi il primo medico condotto nelle Marche e il secondo in Italia, Ginevra Corrinaldesi, che da Montelparo agì nel fermano proprio negli anni '40 e '50, oppure la storia della signora Quintilia che “aveva accolto un soldato polacco e lo aveva messo nella buca dello strame, un gesto buono, semplice, mai raccontato ma che dobbiamo valorizzare” perché, conclude Leoni, “il problema essenziale oggi è ricreare relazioni tra storia e presente, tra anziani e giovani”.

Raccontare per educare

Ed è qui che interviene la visione di Ettore Fedeli, presidente dell’Università Popolare di Fermo. Dopo Torino, nel 2021 il capoluogo marchigiano ha ricevuto dall’UNESCO il riconoscimento di learning city, città dell’apprendimento. “Di conseguenza, abbiamo il compito di raggiungere il duplice obiettivo – racconta ancora Fedeli ai media vaticani – di promuovere un’educazione di qualità, equa e inclusiva, e la lifelearn learning, cioè l’educazione permanente come risorsa strategica, senza la quale nessun progetto, per quanto bello, può funzionare. La situazione educativa nel fermano è tragica: più della metà della popolazione vive in povertà educativa, senza leggere libri e giornali, senza capirli, un terzo sono a rischio di analfabetizzazione”.

Scolpire la memoria

In questo modo Fermo mira ad essere una città che promuove un’educazione per tutti e una crescita educativa per tutti. Come fare? “Stiamo facendo di tutto anche sul piano intergenerazionale – replica Fedeli –, i nostri soci più anziani vanno ai laboratori di informatica dell’Istituto Montani a imparare l’alfabetizzazione digitale dagli studenti di informatica, ossia da quelli che potrebbero essere i loro potenziali nipoti. E c’è poi una cosa che tutti possono coltivare e promuovere: la memoria. Abbiamo voluto assumere la memoria come fattore cui tutti hanno diritto e che ognuno di noi deve raccontare: ciò significa costruire una memoria di questa città non solo attraverso libri e storie, bensì attraverso le autobiografie dei suoi cittadini. Fermo non è stata costruita da grandi eroi o da inediti avvenimenti. Fermo è stata costruita dai suoi cittadini, da esseri umani con case e famiglie: la gente comune non fa notizia, eppure è l’unica che può dare una pennellata di unicità e di verità al tessuto sociale. Non solo in senso locale, ma pure nazionale. Ci siamo collegati fin dall’inizio all’Università Popolare di Roma e all’associazione Unieda, mentre per la 'memoria' ci siamo collegati con la Libera università dell’Autobiografia Anghiari”. Su questo spirito, tornare a guardare ai gesti minimi diventa allora un bagliore da cui accendere una luce collettiva. A Fermo, all’insegna della speranza, nel Festival della comunicazione delle Paoline e dei Paolini, lo si sta imparando.

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05 giugno 2025, 17:54