Ucraina, fare luce sui crimini di guerra per restituire la speranza
Greta Giglio - Città del Vaticano
Come si racconta una guerra che ti piomba in casa? Bisogna camminare tra le macerie, documentare la distruzione, raccogliere le testimonianze di chi torna dalle prigioni, parlare con i familiari di chi invece non è tornato più. Per la giornalista ucraina Valeriya Yegoshyna, corrispondente di Radio Free Europe/Radio Liberty, la parola chiave è empatia: “Il fatto di dover raccontare una guerra che colpisce il mio Paese mi fa sentire ancora più vicina alle persone. Provo rispetto e gratitudine per il lavoro che posso continuare a svolgere”. Yegoshyna si occupa di giornalismo investigativo dal 2016, anno in cui è entrata a far parte del progetto Schemes, inizialmente incentrato sulle inchieste di corruzione tra i vertici governativi ucraini (nel Servizio di sicurezza ucraino, nella polizia nazionale e nell'esercito). “Dopo il 2022 - racconta la giornalista ai media vaticani - ho iniziato a indagare e raccogliere prove sui crimini di guerra commessi in Ucraina da soldati o da ufficiali dell'esercito russo. Per fare questo lavoro direttamente sul campo e utilizzando fonti digitali come immagini satellitari o dati telefonici”.
Perché restare
Valeriya Yegoshyna sa perfettamente cosa rischia continuando il suo lavoro di giornalista in Ucraina. “Ho paura, certo. Sono diverse notti che non dormo, e se dormirò nei prossimi giorni dipende dai bombardamenti. Ma mai e poi mai ho pensato di lasciare l’Ucraina. La mia casa e la mia famiglia sono qui”. Per Yegoshyna è proprio questo il momento in cui le inchieste diventano importanti, perché possono essere utilizzate anche a livello legale, dalla Polizia nazionale o dal Servizio di sicurezza ucraino. “Spero davvero che un giorno queste indagini saranno utilizzate dai tribunali internazionali per poter fare giustizia”. Un lavoro fondamentale e Valeriya Yegoshyna, con la sua formazione da sociologa, sa che non è affatto facile. “Noi giornalisti possiamo smentire una fake news dopo l’altra, ma è un processo senza fine e non basta. Quello di cui c’è veramente bisogno è dare alle persone gli strumenti per riconoscere se una notizia è reale oppure no”.
Il lavoro sul campo
Per ricostruire i crimini commessi dai militari i giornalisti devono parlare con le vittime. In queste occasioni diventa fondamentale trovare il giusto equilibrio tra il lavoro giornalistico di raccogliere testimonianze e il dovere umano di trattare con cura chi ha subito un trauma. “Forse in casi come questi per noi donne è un po’ più semplice - dice Yegoshyna - perché riusciamo a trasmettere una tenerezza che avvicina le persone. Ma non penso ci sia una differenza netta tra il lavoro di giornalisti di sesso maschile e femminile”. Tuttavia, ci sono differenze di altri tipi. Per esempio di natura pratica, come il giubbotto antiproiettile, “che può pesare anche più di dieci chili, e io ne peso circa 50. Per le giornaliste sarebbe importante poter avere giubbotti più leggeri”. Ma essere donne ha anche un grande vantaggio, quello di poter scegliere. “Mio marito è scrittore e giornalista, ma in questo momento è nell’esercito. La nostra Costituzione infatti - spiega la giornalista - prevede la leva obbligatoria solo per gli uomini. Io potrei entrarci solo volontariamente e questa libertà di scelta la considero un privilegio che mi permette di dedicarmi esclusivamente al mio lavoro e di farlo al meglio per poter restituire la speranza a chi sta combattendo, a chi è sopravvissuto e alle famiglie di chi è stato ucciso”.
Il prezzo dell’informazione
Essere giornalista in Ucraina significa mettere a rischio la propria vita ogni giorno. Secondo la National Union of Journalist of Ukraine e l’International Federation of Journalists, sono già 117 i professionisti dell’informazione che hanno perso la vita mentre svolgevano il proprio lavoro. Tra questi anche diverse giornaliste ucraine: Vira Girych, di Radio Liberty, uccisa da un missile indirizzato sulla sua casa; Tetiana Kulyk, morta in un attacco aereo insieme a suo marito; Oleksandra Kuvshynova, colpita dal fuoco russo mentre lavorava sul fronte; Victoria Roshchyna, imprigionata in un carcere russo e restituita all’Ucraina col corpo svuotato dagli organi interni per ostacolare il riconoscimento delle torture e delle violenze. Nonostante la sua storia abbia sconvolto l’opinione pubblica mondiale, questi episodi non sono affatto rari. Ne parla Victoria Amelina, scrittrice ucraina, che con lo scoppio della guerra era entrata a far parte della Ong Truth Hounds.
Un libro di testimonianze
Amelina è una delle vittime di questa guerra, ma è anche autrice di un libro pubblicato in Italia col titolo “Guardando le donne guardare la guerra”. Attraverso gli sguardi delle ucraine - amiche, colleghe, volontarie, professioniste - la scrittrice restituisce le testimonianze delle donne e dei loro compagni, dei figli e dei colleghi uccisi. Per una buona prima parte del libro si può ben ignorare il fatto che Amelina sia morta il primo luglio 2023 sotto un bombardamento russo sulla città di Kramators'k. Ma a un certo punto il lettore si ritrova di fronte a una nota dei curatori che si ripeterà in più punti: “Victoria Amelina non ha finito di scrivere questo capitolo. Le pagine che seguono sono le sue note non revisionate in ucraino e poi tradotte in inglese”. Quel “non revisionate” sottintende un “che non ha fatto in tempo a revisionare”. Tra le testimonianze, Amelina inserisce il suo vissuto personale, il dolore e la paura, ma soprattutto la speranza. All’ultima pagina si legge: “Non ho più paura di morire. Mi ricordo che devo finire questo libro, guardare mio figlio crescere e forse, tra qualche anno, arruolarmi nell’esercito. Così torno a scrivere”.
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