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Mezzi della missione Onu nella Repubblica Democratica del Congo Mezzi della missione Onu nella Repubblica Democratica del Congo  (AFP or licensors)

Giornata internazionale dei Peacekeepers, il ruolo della società civile

In occasione, il 29 maggio, della ricorrenza dedicata a chi si impegna per il mantenimento della pace e della stabilità globali, una analisi del ruolo della comunità internazionale, che ha cercato di creare missioni di pace alternative a quelle fondate sul dispiegamento dei militari. Marco Mascia, presidente del Centro di Ateneo per i diritti umani dell'Università di Padova: "Se esistesse un Corpo non armato e non violento della società civile questo farebbe la differenza sul terreno"

Stefano Leszczynski - Città del Vaticano

Gli embrioni del peacekeeping civile, disarmato e non violento — come realtà autonome rispetto alle forme di peacekeeping onusiano, i cosiddetti Caschi blu per intenderci — fanno la loro comparsa negli anni Novanta nel contesto di crisi internazionale determinato dallo sgretolamento del Muro di Berlino. 

Le iniziative in seno all'Onu

A prevedere un maggiore coinvolgimento del ruolo della società civile nel contesto internazionale sono state nel 1992 due iniziative in ambito Onu: il progetto di riforma dell’organizzazione elaborata dall’allora segretario generale Boutros Boutros-Ghali e denominata Agenda per la pace; e la cosiddetta “Arria formula”, dal nome del rappresentante venezuelano dell’epoca in Consiglio di sicurezza. Mentre il primo documento introduceva per la prima volta il concetto di peacebuilding, e cioè di costruzione della pace prima che i conflitti si incancrenissero, il secondo lanciava la prassi di una consultazione costante tra il Consiglio di sicurezza e le organizzazioni non governative che operavano nelle aree di crisi, in particolare Bosnia ed Erzegovina e Rwanda.

Operazioni di pace civili e disarmate

Ad illustrarci la genesi delle operazioni di pace civili e disarmate è Marco Mascia, presidente del Centro di ateneo per i diritti umani “Antonio Papisca” dell’Università di Padova e coordinatore della Rete delle Università italiane per la pace. «A rafforzare ulteriormente il ruolo delle organizzazioni non governative — spiega — è anche l’istituzione della Corte penale per i crimini commessi nella ex-Jugoslavia. La risoluzione del 1993 al paragrafo cinque fa appello direttamente alle organizzazioni non governative per assicurare alla giustizia penale internazionale coloro che hanno commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità». Ed è proprio nel contesto del disfacimento della Jugoslavia che si realizzano le prime esperienze concrete di operazioni di peacebuilding e peacekeeping civile. «Almeno per quanto riguarda il versante italiano, — spiega Mascia — bisogna ricordare quelle realizzate con “Operazione Colomba” della Comunità Papa Giovanni XXIII in Bosnia e quella lanciata in Kosovo da Alberto l’Abate con “l’Ambasciata della pace”». Sono anni drammatici a livello internazionale, in cui si assiste anche al fallimento disastroso di almeno due missioni dell’Onu, anche se per motivi differenti tra loro: quello dell’Unprofor che nel 1995 portò al massacro di Srebrenica e quello dell’Unamir, la cui presenza non riuscì a impedire il genocidio in Rwanda nel ’94.

Puntare sulla cooperazione allo sviluppo e sui diritti umani

«C’è una profonda differenza tra le operazioni di mantenimento e costruzione della pace interamente civili e disarmate e le missioni dell’Onu che hanno invece una caratterizzazione prevalentemente militare — spiega il professor Mascia —. Intanto va precisato che le missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite sono ormai delle missioni cosiddette multidimensionali, cioè che non hanno più soltanto come scopo quello dell’interposizione fra le parti, ma hanno anche tutta una serie di compiti di natura politica. Il peacekeeping “militare” include ormai anche iniziative di cooperazione allo sviluppo, di educazione ai diritti umani, di dialogo con le autorità locali, tutte funzioni che non spettano ai militari, ma che avvengono in un contesto di missione militare, in cui operano appunto anche civili locali e volontari delle Nazioni Unite».
Quello che non esiste — e che, invece, da molti anni il mondo pacifista invoca — è una forza civile autonoma e strutturata che operi come corpo distinto e separato dalla dimensione militare. «Questo è il punto — ribadisce Mascia —. Se esistesse un “Corpo non armato e non violento” della società civile, che si muove dentro le situazioni di conflitto con delle professionalità specifiche in grado di coordinarsi e dialogare con quello militare, questo farebbe la differenza sul terreno».

Prevenire i conflitti senza l'uso delle armi

Le competenze professionali per la nascita istituzionalizzata di un Corpo civile di pace non mancano di certo. Basti pensare alle centinaia di organizzazioni non governative che sono presenti dalla Libia, alla Cisgiordania, al Sud Sudan e che svolgono un ruolo il più delle volte non riconosciuto dalle agenzie internazionali e dai governi. Quello che servirebbe, secondo Mascia, è qualcosa che sappia raccogliere l’eredità della proposta del parlamentare europeo Alexander Langer che nel 1994 ebbe l’idea di costituire un Corpo civile di pace europeo per gestire, trasformare, prevenire i conflitti senza l'uso della violenza o delle armi. «Una realtà — sottolinea — che doveva incorporare figure altamente professionali nel monitoraggio dei diritti umani, nell'osservazione elettorale, nella scrittura dei rapporti, professionisti insomma dell'aiuto umanitario». In Italia un passo in questa direzione, sotto la spinta dei movimenti pacifisti, è stato fatto nel 2015 con un decreto interministeriale che prevede l’istituzione in via sperimentale dei Corpi civili di pace, con l’obiettivo di ricercare soluzioni alternative all’uso della forza militare per la risoluzione dei conflitti. «E’ certamente un elemento positivo, — conclude Mascia — ma l’impatto non potrà essere significativo finché i governi non decideranno di investire in maniera sistematica in questo settore. La spesa militare continua ad aumentare, mentre la spesa per la pace non aumenta mai».

 

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30 maggio 2025, 12:29