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A Gaza i più piccoli affrontano la fame A Gaza i più piccoli affrontano la fame  (ANSA)

Gaza, la fame: né un’arma di guerra, né una moneta di contrattazione

Secondo l'Onu, la Striscia è ?il luogo più affamato? del globo, con ?il 100% della popolazione? a rischio carestia. La riflessione della presidente dell’Associazione culturale pediatri, Stefania Manetti: ?La negazione dei diritti umani e la totale assenza di protezione nei confronti delle bambine e dei bambini di Gaza finisca al più presto?. Mancano il cibo, le medicine, gli anestetici, l’assistenza per i materiali sanitari

Giada Aquilino - Città del Vaticano

Gaza è «il luogo più affamato» del globo, con «il 100% della popolazione» a rischio carestia. L’ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) non ha dubbi nel dichiarare la drammaticità della situazione nella Striscia di Gaza e nel riferire le difficoltà incontrate dall’Onu nel convogliare aiuti verso l’enclave palestinese, che Israele lascia entrare solo a piccole dosi, dopo un blocco totale decretato il 2 marzo scorso. Le Nazioni Unite, con l’Unicef, denunciano inoltre che dall’ottobre 2023 più di 50.000 bambini sono stati uccisi o feriti. Ci sono poi oltre 70.000 minori di età inferiore ai cinque anni a rischio malnutrizione, rivela Save the Children. 

La mancanza di cibo tocca tutti

Il 25 maggio scorso un bambino palestinese di 4 anni, Mohammed, è morto di fame a Gaza, «non come conseguenza di una carestia per cause naturali, bensì perché non arriva cibo attraverso gli aiuti umanitari», fa notare in una conversazione coi media vaticani Stefania Manetti, presidente dell’Associazione culturale pediatri (Acp), realtà italiana nata nel 1974 e impegnata nello sviluppo di una cultura sociale della pediatria e nella promozione della salute del bambino. Ma la fame, denuncia la pediatra napoletana sulla scia di una nota dell’Acp, «non può essere un’arma di guerra né una moneta di contrattazione».

Ascolta l'intervista con Stefania Manetti

«Una collega palestinese che ha partecipato in collegamento da Gaza ad un recente webinar organizzato dall’Associazione italiana di epidemiologia e dall’Istituto superiore di sanità, a noi partecipanti — riferisce Manetti — ha raccontato della mancanza di accesso al cibo, cosa che colpisce tutta la popolazione e ovviamente ancora di più i bambini. Lei stessa ha riferito di aver perso circa 20 kg nell’arco di pochi mesi, di come abbia difficoltà a raggiungere il posto di lavoro perché non riesce fisicamente a farcela, le sue energie sono ai limiti della sopravvivenza». La testimonianza della dottoressa palestinese, fa notare la presidente dell’Acp, arriva quando dalla Striscia è giunta in questi giorni la notizia di un’altra pediatra palestinese, Alaa al-Najjar, medico dell’ospedale Nasser di Khan Younis, che era di turno in una delle poche strutture ancora operative a Gaza quando si è vista arrivare i corpi dei propri bambini colpiti da un bombardamento israeliano: di 10 figli, l’unico sopravvissuto versa in condizioni critiche, ha il 60% del corpo gravemente ustionato e in queste ore si parla di possibili cure all’estero.

Magazzini saccheggiati e carenza di medicine

Ma la tragica realtà di Gaza oggi, proprio quando le Nazioni Unite denunciano che un non meglio precisato «gruppo armato» ha saccheggiato grandi quantità di forniture sanitarie dai magazzini dell’ospedale di Deir el-Balah, è anche quella di bambini e bambine amputati, in un territorio in cui «mancano in generale le medicine, gli anestetici, l’assistenza per i materiali», va avanti Manetti. «Per i pazienti oncologici, sia bambini sia adulti, non ci sono assolutamente più medicinali. E se si aggiunge tutto questo allo sfollamento, alle persone e ai bambini feriti e uccisi, possiamo dire che davvero questo conflitto sta portando alla distruzione principalmente dei più vulnerabili, i più piccoli». La presidente dell’Associazione culturale pediatri evidenzia inoltre come ci siano «40.000 donne a Gaza in attesa di partorire, in una situazione in cui la rete idrica è distrutta, la popolazione non ha acqua da bere, non c’è assistenza sanitaria e i pochi ospedali funzionanti sono sovraccarichi, non hanno né elettricità né carburante» per azionare i generatori. Il pensiero va pure «ai bambini prematuri, che probabilmente nasceranno con una percentuale maggiore viste le condizioni in cui stanno andando avanti le gestazioni».

Urge un cessate-il-fuoco

L’appello dei medici dell’Acp è affinché «la negazione dei diritti umani e la totale assenza di protezione nei confronti delle bambine e dei bambini di Gaza finisca al più presto»: urge, prosegue Manetti, «un vero cessate-il-fuoco». «Ritengo sia importante parlare anche di quello che succederà dopo la guerra, quando l’attenzione di tutto il mondo calerà, sebbene poi i bisogni da un certo punto di vista aumenteranno, specialmente per i più vulnerabili. Penso ai piccoli al di sotto dei cinque-sei anni, a quelli dei primi 1.000 giorni di vita costretti a vivere queste situazioni, che ormai anche la scienza ha ben definito e pone sotto il nome di “stress tossico”, cioè quello stress cronico prolungato che porta a modifiche dell’architettura cerebrale, ma anche, da adulti, a malattie oncologiche e cardiovascolari». La protezione dell’infanzia nei conflitti armati è un diritto umano fondamentale eppure, riflette la presidente dell’associazione, «il futuro delle generazioni di oggi a Gaza è già in parte rubato», perché quello che sta tragicamente avvenendo «inciderà anche sulle generazioni di domani, sui bimbi sopravvissuti e sui nipoti di questi bimbi sopravvissuti».

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31 maggio 2025, 09:33