Gerusalemme capitale della pace. L’appello: sì a due popoli per due Stati
Lucia D’Anna - Gerusalemme
Una nuova marcia della pace da tenersi il prossimo 21 settembre, con due partenze separate, una dal mercato centrale di Gerusalemme ovest, Mahane Yehuda, e l’altra da Sheikh Jarrah, quartiere famoso per le espropriazioni delle abitazioni palestinesi a Gerusalemme est. È la proposta lanciata da Maoz Inon e da Aziz Abu Sarah, alla fine dei due giorni di summit di pace, a Gerusalemme, dal titolo “It’s time now”, di cui i due, israeliano il primo e palestinese il secondo, sono stati gli ideatori. Due giornate dense di eventi sparsi in luoghi chiave della città, con una grande partecipazione di chi intende mostrare un volto diverso di quella terra tormentata. A partire da giovedì 8 maggio, si sono svolte diverse attività, comprese escursioni guidate attraverso le aree più difficili di Gerusalemme. Come quella organizzata dall’associazione israeliana Ir Amin, che si batte per una Gerusalemme condivisa, quando un gruppo di circa 40 israeliani ha camminato dalla porta di Damasco fino all’Educational bookshop, luogo simbolo della resistenza culturale. Libreria che, come si ricorderà, nelle settimane precedenti è stata oggetto di due raid della polizia israeliana.
L'incontro con Maoz e Aziz
I due ideatori dell’iniziativa, in un incontro aperto al pubblico, hanno auspicato la fine delle stragi a Gaza e il ritorno degli ostaggi israeliani. Nel racconto dell’israeliano Maoz, la consapevolezza che la dolorosa esperienza della morte dei genitori, rimasti uccisi nelle stragi del 7 ottobre 2023, abbia a lui insegnato cosa sia il perdono. Entrambi, hanno poi ricordato l’affetto che Papa Francesco non mancò di dimostrare nei loro confronti, il 18 maggio 2024, quando a Verona li abbracciò sul palco dell’incontro “Arena di pace – Giustizia e Pace si baceranno”, dimostrando l’importanza e la necessità del dialogo. Drammatica poi la testimonianza di Max Kresch del movimento “Soldati per gli ostaggi”, che ha raccontato della sua scelta di non continuare a combattere nell’esercito israeliano, una decisione sofferta e difficile, motivata dalla ingiustizia di una guerra che non ha senso.
Avere ancora una speranza
Evento centrale della manifestazione è stato sicuramente il grande incontro, venerdì 9 maggio, all’International Convention center a Gerusalemme, a cui hanno partecipato circa 5000 persone, apertosi con un minuto di silenzio per tutte le vittime del conflitto. Sul palco si sono susseguite testimonianze di israeliani e palestinesi che chiedono la pace. Dai giovani del Jerusalem Youth Chorus, che hanno intessuto un dialogo in arabo ed ebraico sulle loro paure e su come la musica li abbia aiutati, ai familiari degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas a Gaza, dai parenti dei palestinesi uccisi o arrestati dall’esercito israeliano, per arrivare a parlamentari della Knesset, a ex soldati riservisti e ad alcune madri. Molti i partecipanti giunti con difficoltà anche da località distanti, come le due ragazze beduine adolescenti arrivate a Gerusalemme da Be’er Sheva in autobus “per poter avere ancora una speranza”.
“Bisogna lottare insieme per lo stop alla guerra e all’occupazione, per il ritorno degli ostaggi, per la sicurezza e la soluzione di due popoli per due Stati”, è stato il richiamo di Alon Lee Green di Standing Together, movimento trasversale ebreo-palestinese che riunisce persone che vogliono lottare per la pace.
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