Carceri, le mamme detenute: oltre la libertà, manca la la quotidianità con i figli
Roberta Barbi – Città del Vaticano
I momenti di festa in carcere, per le persone private della libertà, sono i più difficili: l’assenza della famiglia, il vuoto degli affetti mentre il resto del mondo si ritrova per festeggiare, si fanno sentire ancora di più. Non fa eccezione la Festa della mamma, oggi ricordata anche da Papa Leone XIV nel Regina Caeli, in un contesto dove già per le donne ristrette la lontananza dai figli è un dramma che si rinnova quotidianamente: “In carcere il distacco è la quotidianità – racconta ai media vaticani Bruna Arceri, ex detenuta del carcere romano di Rebibbia – i genitori, i fratelli, tutti vengono a trovarti, d’accordo, ma la mancanza della quotidianità con i figli, l’impossibilità di vederli crescere un giorno dopo l’altro uccide”.
“Ai figli va sempre detta la verità”
Bruna è arrivata a questa convinzione con il tempo, e sperimentando sulla propria pelle a cosa possano portare le bugie: “Quando sono entrata in carcere avevo promesso a me stessa che mai e poi mai mio figlio avrebbe messo piede in quel luogo – rivela – ma dopo un mese mi ha chiamato il padre dicendo che mio figlio doveva vedermi, doveva vedere che stavo bene e che c’ero ancora”. Bruna aveva detto a suo figlio, allora ancora piccolo, che doveva andare via perché stava male, ma nella mente di un bambino questo pensiero si è trasformato in paura: “Mamma muore e io non l’ho vista”, diceva.
Ricostruire un rapporto
“In buona fede si fanno errori madornali, mentre ai figli bisogna sempre dire la verità, altrimenti poi se ne pagano le conseguenze”, afferma Bruna che a quel punto, sostenuta da un supporto psicologico esterno come pure suo figlio, inizia a incontrarlo tutte le settimane. “Per le mamme con figli che hanno meno di 14 anni – riferisce – una volta al mese c’è anche la possibilità di un incontro più lungo, perfino di quattro o sei ore, in cui si può cucinare e mangiare insieme; nella bella stagione lo si fa all’aperto, nell’area verde”.
Ricostruire se stesse
In carcere Bruna fa il suo percorso che è fatto anche di teatro: entra a far parte delle Donne del Muro Alto, in cui recita ancora perché la compagnia include ex detenute e donne in esecuzione penale esterna. Le sue colleghe che sono ancora in reclusione il prossimo 16 maggio porteranno in scena a Rebibbia il nuovo spettacolo tratto dall’opera di William Shakespeare Bisbetica domata, ma non troppo, studio 1. Come sempre è un lavoro corale, che tra i tanti temi affronta anche quello della solidarietà femminile: “Nonostante le diversità linguistiche e culturali, quando si parla di figli, le mamme in carcere sono solidali tra loro, è un dolore comune che si condivide insieme”, ricorda Bruna.
Considerare anche il dolore dei figli
Quando si parla del dolore della madri detenute, però, si deve ricordare che dall’altra parte c’è il dolore, uguale e contrario, del figlio che cresce da solo, senza la presenza costante più importante: “Mio figlio non mi diceva molto della sua sofferenza”, racconta Bruna del periodo di quando era detenuta, ma ci sono circostante in cui i gesti valgono più delle parole: “La prima volta che sono uscita in permesso premio e sono rimasta sei giorni a casa, mio figlio non si staccava più da me, non andava neppure a scuola”.
Prima e dopo
“Quando sono arrivata al fine pena e sono tornata, abbiamo avuto uno scontro – racconta ancora Bruna - era come se mi rinfacciasse tutto il periodo in cui non c’ero stata. La prima cosa, quando sono uscita e l’ho visto, non è stata una comunicazione verbale, è stato un abbraccio”, a conferma che ci sono occasioni in cui i gesti valgono molto più della parole. Oggi Bruna è una donna libera e suo figlio è grande, da qualche mese è diventato maggiorenne, ma la Festa della mamma la trascorrono ancora insieme: “Sto con lui in questa giornata, abbiamo un rapporto splendido…”, dice. E poi si commuove.
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