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Viterbo, la Macchina di Santa Rosa Viterbo, la Macchina di Santa Rosa

A Viterbo si rivive la tradizione di Santa Rosa

Ogni 3 settembre la città del Lazio celebra la sua compatrona con il trasporto della Macchina a lei dedicata, e riconosciuta dall’Unesco come patrimonio immateriale dell’umanità: una torre luminosa portata a spalla dai facchini per le vie del centro. L’evento, nato da una tradizione secolare legata alla santa, unisce fede, storia e identità cittadina

Sara Costantini e Luca Collodi - Città del Vaticano

«La Macchina di Santa Rosa è una tradizione che unisce fede e popolo, ed è qualcosa che deve essere vissuto di persona». Così Cristina Pallotta, responsabile dell'ufficio stampa del Comune di Viterbo, descrive la grande celebrazione che il 3 settembre di ogni anno, illumina la città laziale, unendo religiosità, memoria storica e partecipazione collettiva. La Macchina è stata riconosciuta dall'UNESCO come patrimonio immateriale dell'umanità all'interno della rete delle grandi macchine a spalla. Non si tratta di un semplice e imponente spettacolo visivo, ma di un rito che unisce secoli di devozione e identità civica, capace di attrarre migliaia di persone.

Una storia che parte dal 1258

La tradizione ha origine del XIII secolo. «Tutto cominciò nel 1258 - ricorda Pallotta - quando il 4 settembre il corpo di Santa Rosa, inizialmente sepolto nella chiesa di Santa Maria in Poggio, fu traslato all'attuale monastero di Santa Rosa, alla presenza di quattro cardinali e Papa Alessandro IV». Quella processione segnò il punto di partenza di una memoria che non si è mai interrotta. Ogni anno la comunità ripeté il rito fino a quando, intorno al 1600, prese forma l'idea di una “macchina”, cioè di una struttura verticale portata a spalla in onore della santa. Prima della comparsa della macchina, fu portato in processione un semplice baldacchino con l'immagine della santa, sempre in ricordo di quel 4 settembre 1258. Da allora, il gesto collettivo di trasporto si è trasformato, si è ingrandito, divenuto sempre più imponente, fino a diventare ciò che si conosce oggi: una torre che sfida il cielo.

Santa Rosa, una giovane, un miracolo

Santa Rosa morì giovanissima, a soli 18 anni, ma la sua vicenda spirituale e umana colpì profondamente i suoi contemporanei. «Da viva aveva bussato al monastero delle clarisse di San Damiano per essere accolta – prosegue Pallotta – senza trovare posto. A quel punto disse loro: non mi volete ora da viva, ma sarete ben liete di ospitarmi da morta. E così fu». Oggi il suo corpo è custodito in un’urna trasparente ed è meta di pellegrinaggi continui. «Ogni giorno migliaia di persone lo venerano – spiega ancora Pallotta – non solo i viterbesi, ma fedeli da ogni parte del mondo. È un corpo piccolo, esile, ma che richiama tanto amore, fede e devozione». La stessa vita di Rosa è stata vista come un miracolo: «Nacque senza sterno, una condizione che rende difficile sopravvivere anche pochi anni, eppure visse fino a 18 anni e compì diversi miracoli che ancora oggi sono ricordati».

La Macchina “Dies Natalis”

Ogni cinque anni la Macchina di Santa Rosa cambia forma. L’attuale modello si chiama Dies Natalis, creato dall’architetto Raffaele Ascenzi. «Questo è il secondo anno in cui sfilerà Dies Natalis - aggiunge - la Macchina è come una torre alta circa 30 metri, pesa 5 tonnellate ed è portata da 113 facchini di Santa Rosa». Il numero dei portatori varia lungo il percorso: «Quando la Macchina attraversa le vie più strette del centro storico, alcuni facchini non riescono a rimanere in formazione. Questo comporta che il peso diventi ancora più gravoso per quelli che restano sotto». Il trasporto avviene il 3 settembre, dopo le 21. «Le vie si spengono e restano illuminate solo dalla Macchina» racconta Pallotta. «È come un campanile di luce che avanza sopra le spalle dei facchini, nelle stesse strade che ricordano i luoghi dove la Santa ha vissuto».

I facchini, cuore e forza della festa

Il trasporto non sarebbe possibile senza i facchini, che a Viterbo costituiscono un’istituzione. Fanno parte del Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa, guidato dal presidente Massimo Mecarini e dal capo facchino. Il capo facchino, spiega Pallotta, «è la voce che guida tutti. Sotto la Macchina ci sono ruoli precisi: le spallette ai lati, le stanghette davanti e dietro, e soprattutto i cosiddetti ciuffi, che portano il peso direttamente sulle spalle e non vedono la strada perché la torre poggia dietro la nuca. Per loro l’unico riferimento è la voce del capo facchino». Ci sono poi i facchini addetti alle corde e alle leve, chiamati a intervenire soprattutto nel tratto finale. «Il percorso è lungo circa un chilometro – conclude Cristina Pallotta – ma l’ultimo tratto è in salita e viene fatto di corsa. È un momento che toglie il fiato per l’emozione, non solo a chi lo compie ma anche a chi assiste».

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03 settembre 2025, 14:00