La spiritualità dell’Oriente può aiutare a sanare un millennio di divisione tra i cristiani
Francesco Ricupero - Città del Vaticano
«Ancora una volta, lo svolgimento del Congresso ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa dimostra come la spiritualità dell’Oriente cristiano possa non solo arricchire la vita ecclesiale dell’Occidente, ma anche contribuire al riavvicinamento tra Oriente e Occidente cristiani e sanare così la divisione di un millennio. La Chiesa di Cristo, di fronte alle tante sfide e ai tanti problemi del nostro tempo, ha bisogno più che mai dell’unità dei cristiani»: è quanto si legge nel messaggio del patriarca ecumenico Bartolomeo inviato alla comunità di Bose, in occasione del 31.mo convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa, al via da oggi fino al 5 settembre, sul tema: Antonio il Grande, il padre dei monaci.
Il messaggio del patriarca ecumenico Bartolomeo
Nell’esprimere un ringraziamento al priore Sabino Chialà e a tutta la comunità per il «modo eccellente» dell’organizzazione dell’evento, il patriarca Bartolomeo si è congratulato per gli sforzi e il contributo significativo, e ha implorato sulla comunità, sui relatori e sui partecipanti alla conferenza, «la grazia e la benedizione del Dio dell’Amore e della Misericordia, per intercessione del nostro Padre tra i Santi, Antonio il Grande». Anche l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Hieronymos, in un messaggio, ha ricordato che «il tema Antonio il Grande, il Padre dei monaci è ed è stato da sempre di grande rilevanza sia per la Chiesa Orientale che per quella Occidentale, dal tempo in cui Atanasio il Grande, arcivescovo di Alessandria, scrisse, attorno al 357, la Vita di Antonio il Grande, rendendo note all’intera ecumene cristiana la condotta ascetica e la vita evangelica che caratterizzarono la vicenda del santo Antonio». Nel suo messaggio Hieronymos ha ricordato che la nascita (251 d.C) di Antonio il Grande coincida con un periodo contrassegnato dal sangue dei martiri che «irrorava il campo della Chiesa». «La sua nascita segnò un nuovo periodo della vita cristiana, in cui il “martirio bianco”, il martirio della coscienza, sarebbe diventato così potente con le sue lotte ascetiche nel deserto, da poter essere paragonato al martirio di sangue».
Che la figura di Cristo, pienamente Dio e pienamente uomo, fosse centrale nell’esperienza di Antonio ne è pienamente convinto anche il priore del monastero di Bose, Sabino Chialà, che nel suo intervento di apertura di oggi, 2 settembre, ha ricordato che «per Atanasio egli è l’immagine vivente della fede di Nicea (di cui ricordiamo i 1700 anni). Fede nel Dio fattosi uomo, che nella sua carne e tramite la croce sana quella che Antonio torna ripetutamente a chiamare la “ferita” che il peccato ha scavato nell’umanità e nel profondo di ogni essere. L’essere creato — ha aggiunto — porta incisa nelle sue fibre una ferita, di cui Antonio avverte il dolore soprattutto durante le lotte cui il Nemico lo induce in modo persistente. A quella ferita, Dio ha cercato di porre rimedio lungo l’intera storia della salvezza, fin dalla creazione del mondo. Ma solo ora, nel Figlio sceso nella carne dell’umanità, essa trova rimedio. Il Cristo è anche colui che infonde forza nella debolezza; anzi, è lui che combatte in chi si tiene saldamente unito a lui. Antonio ne fa esperienza nella sua debolezza: avverte che non è lui a conseguire la vittoria, ma il Cristo, al quale egli resta legato tramite il vincolo della “fede”.
La fede in Cristo
Un’espressione che ricorre spesso negli scritti di Antonio è: “Fede in Cristo”. Dove “fede” non rimanda a concetti, ma a una relazione profonda e all’abbandono fiducioso; è esperienza di comunione che accompagna ogni istante della sua esistenza. Questo è quanto affiderà, nell’ultima esortazione appena prima di morire, ai due fratelli che aveva voluto accanto a sé perché potessero seppellirlo: “Respirate sempre Cristo e abbiate fede in lui”. Queste brevi parole sono il suo testamento e il cuore della sua esperienza cristiana e monastica! Respirare Cristo e avere fede in lui: farne il compagno di ogni istante della propria vita e affidarsi a lui».
Il priore Chialà ricorda l'Ucraina e Gaza
Inoltre, il priore di Bose, nel suo intervento ha rivolto un pensiero particolare alle guerre sparse nel mondo, «non possiamo non fare memoria delle tragedie che si consumano intorno a noi, soprattutto in Ucraina e in Medio Oriente, specialmente a Gaza. Lo facciamo ricordando e portando tutto nella preghiera. Voglio pensare che il nostro stare insieme in questi giorni — ha proseguito — sia un controcanto rispetto all’abominio di tali tragedie. Un seme piccolo, ma non insignificante, perché ogni seme di fraternità gettato a terra, prima o poi porta il suo frutto, che è a beneficio dell’umanità intera. Un controcanto “da folli”... ma è ancora Antonio il Grande che, in uno dei suoi detti più taglienti, avverte: Verrà un tempo in cui gli uomini impazziranno, e quando vedranno uno che non è pazzo, lo assaliranno dicendogli: “Sei pazzo!”, per il solo fatto che non è come loro (Detti 25). Proprio il nostro, è il tempo in cui continuare a sperare, a seminare pensieri di pace e di fraternità, a costo di sembrare pazzi… solo dei poveri illusi!»
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