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Una celebrazione cristiana in Iraq Una celebrazione cristiana in Iraq  (AFP or licensors)

Il declino della presenza cristiana in Medio Oriente

Il governatore generale dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme Leonardo Visconti di Modrone analizza le cause storiche di un fenomeno che presenta elementi comuni e sfumature diverse nei Paesi dell’area

di Leonardo Visconti di Modrone*

Il declino della presenza cristiana nel Vicino Oriente sembra inesorabile. Può essere interessante studiarne le cause e le conseguenze nei vari Paesi e raffrontarle con quelle più proprie della Terra Santa. Se osserviamo la storia dell’ultimo secolo dell’intera area del Levante notiamo che il declino della presenza cristiana iniziò con il decadere dell’Impero ottomano e con il massacro degli armeni durante la Prima Guerra Mondiale.

Dopo la prima guerra mondiale le potenze vincitrici, principalmente la Gran Bretagna e la Francia, si spartirono i territori arabi dell’Impero ottomano attraverso il “sistema dei mandati” della Società delle Nazioni creando stati come l’Iraq, la Transgiordania (poi Giordania), la Palestina (sotto mandato britannico), la Siria e il Libano (sotto mandato francese). Queste nuove entità statali, spesso con confini tracciati artificialmente, non sempre rispecchiavano le realtà etnico-religiose locali, spargendo i semi di futuri conflitti. La caduta dell’Impero ottomano non fu dunque solo la fine di un’entità politica, ma un evento spartiacque, che ridisegnò la mappa e la storia del Vicino Oriente, dando origine a sfide e conflitti che persistono ancora oggi.

La continua emorragia di cristiani dal Levante ha registrato punte di accelerazione durante la guerra civile libanese, con la dissoluzione del regime di Saddam Hussein e poi con l‘emergere dell’Isis e infine con la caduta del regime di Assad in Siria; in Terra Santa essa è dovuta in larga parte alle conseguenze del conflitto israelo-palestinese.

Le cause di questo fenomeno sono dunque da ricercare in generale nelle guerre, nelle persecuzioni e discriminazioni, nel crescente senso di instabilità dovuto alla caduta di regimi che di fatto — in qualche modo — proteggevano lo status quo per i cristiani. Alle violenze, alle persecuzioni ed ai conflitti si aggiungono ragioni socio-economiche e la speranza di molti cristiani di poter raggiungere migliori condizioni di vita in Paesi occidentali di accoglienza. Perché il fenomeno è preoccupante?

Per un cristiano la risposta è evidente: questa è la terra dove è nata la nostra fede. Ma per gli altri? Per gli altri, compresi i musulmani moderati, la partenza dei cristiani dovrebbe essere vissuta con preoccupazione giacché in una società complessa come quella del Vicino Oriente i cristiani, distinti per confessioni e riti, sono tradizionalmente elementi di dialogo e di moderazione, e fondamento di una convivenza non sempre agevole da raggiungere. Ma in ogni Paese questo fenomeno ha avuto elementi comuni e sfumature diverse.

Libano

La diminuzione della presenza cristiana in Libano è un fenomeno complesso e multifattoriale, le cui cause affondano le radici nella storia recente e nelle dinamiche socio-politiche del paese. Le ondate emigratorie iniziarono già a partire dal XIX secolo e si intensificarono nel XX con la fine del mandato francese, ma ebbero una punta con la guerra civile libanese (1975-1990) che causò una frattura profonda all’interno della comunità cristiana. Le violenze, le devastazioni e l’incertezza del futuro hanno spinto decine di migliaia di cristiani a cercare rifugio all’estero. A ciò si aggiungano le crisi economiche ricorrenti, la corruzione e le tensioni dovute all’ascesa dell’islamismo radicale. I cristiani in Libano hanno inoltre storicamente registrato un tasso di natalità inferiore rispetto alla popolazione musulmana, in particolare quella sciita. Questo, unito all’emigrazione, ha alterato progressivamente l’equilibrio demografico che in passato vedeva i cristiani in maggioranza o in parità con le altre comunità. Ciò ha avuto risvolti politici. La costituzione libanese, che assegna la presidenza a un cristiano maronita, era stata pensata in un momento in cui i cristiani costituivano la maggioranza. Il cambiamento demografico ha reso questa struttura sempre più difficile da sostenere politicamente, alimentando tensioni. Il coinvolgimento del Libano in conflitti regionali, come il conflitto israelo-palestinese e la guerra civile siriana, ha avuto un impatto diretto sulla sicurezza e la stabilità del paese, con conseguenze devastanti per la comunità cristiana che si è sentita sempre più isolata e a rischio. Durante la guerra civile, le rivalità tra le diverse fazioni cristiane hanno indebolito la loro coesione e influenza politica rendendo la comunità cristiana meno capace di agire come un blocco unito di fronte alle sfide esterne con un impatto profondo sulla sua stessa identità e stabilità politica del Paese, che si basava su un equilibrio tra le diverse confessioni religiose.

Iraq

Il conflitto in Iraq e la deposizione di Saddam Hussein hanno avuto un impatto devastante sulla popolazione cristiana. Il regime di Saddam, pur non essendo democratico, manteneva un certo grado di stabilità che garantiva una “protezione” alle minoranze religiose, inclusi i cristiani. Con la caduta del regime, la situazione è drasticamente peggiorata con una progressiva marginalizzazione e persecuzione dei cristiani. Ne è derivato un esodo in massa: si stima che prima del 2003 i cristiani fossero oltre un milione e mezzo. Negli anni successivi il loro numero si è ridotto a poche centinaia di migliaia con il rischio concreto che la loro presenza possa del tutto scomparire. Essi sono divenuti infatti un facile bersaglio per gruppi estremisti e milizie settarie, con attentati a chiese, rapimenti, omicidi. L’arrivo dell’Isis ha poi aggravato ulteriormente la situazione, causando una fuga di massa dalla Piana di Ninive, cuore della presenza cristiana in Iraq. Il vuoto di potere ha permesso l’ascesa di forze estremiste e ha destabilizzato il delicato equilibrio interetnico e interreligioso del paese trasformando la popolazione cristiana, in una minoranza perseguitata e in gran parte sradicata.

Siria

Analogamente in Siria la fine del regime di Assad, in qualche modo protettivo dei cristiani, ha avuto un impatto complesso sulla popolazione cristiana, che si trova ora ad affrontare un futuro incerto. Nonostante le promesse dei nuovi dirigenti di governo, si sono verificati numerosi episodi di violenza settaria, aggressioni e discriminazioni a sfondo religioso, ciò che ha spinto un numero sempre maggiore di cristiani a lasciare il paese. La popolazione cristiana, che prima del conflitto ammontava a circa due milioni, si è ridotta drasticamente. L’incertezza non ha del tutto spento un certo cauto ottimismo ed in talune città, come ad esempio ad Aleppo, vi sono segnali di una lenta ripresa ed i cristiani si segnalano per un impegno di promuovere il dialogo fra le diverse fazioni, riaprendo chiese, scuole ed ospedali.

Giordania

Sebbene il Paese sia considerato uno dei più tolleranti della regione nei confronti dei cristiani, che in Giordania godano di una certa libertà religiosa e di una posizione relativamente privilegiata nel tessuto sociale ed economico, la loro percentuale sulla popolazione totale è drasticamente diminuita nel tempo. Negli anni ‘50 del Novecento, i cristiani costituivano quasi il 30% della popolazione. Oggi, le stime variano, ma si aggirano tra il 2,8% e il 6%. Il declino è attribuibile principalmente a una forte immigrazione musulmana che ha fatto diminuire la percentuale cristiana, ma anche a forti ondate di emigrazione e a certe forme isolate ma frequenti di discriminazione, specie nei confronti dei cristiani convertiti dall’Islam, o in casi di matrimoni misti, che trovano la loro radice nel sistema tribale del Paese. Rispetto ad altri Paesi del Vicino Oriente, la Giordania registra una situazione migliore per i cristiani, ma il loro declino numerico è un dato di fatto.

Palestina

Per quanto riguarda infine la Palestina il calo della presenza cristiana è dovuto ad una molteplicità di concause, la prima delle quali si può far risalire alla situazione di conflitto, di violenza e di instabilità politica. Alle vittime dirette del conflitto a Gaza, vuoi per violenza armata, vuoi per fame o malattia, si debbono aggiungere le continue tensioni e prevaricazioni nel West Bank, che hanno creato un clima di insicurezza tale da spingere molti cristiani, che ne avevano la possibilità, a emigrare in cerca di una vita migliore. Gli attacchi e le violenze da parte di gruppi estremisti nei loro confronti sono andati crescendo con l’acuirsi del confitto. L’occupazione di territori, le espropriazioni da parte dei coloni e le restrizioni alla libertà di movimento imposte dalle autorità israeliane (come la costruzione del muro di separazione) hanno reso la vita quotidiana estremamente difficile per i cristiani palestinesi, limitando l'accesso al lavoro, all'istruzione quando non alla stessa famiglia. Le demolizioni di abitazioni palestinesi, le vandalizzazioni del sistema idrico di interi villaggi, sono il frutto di un chiaro piano per un allontanamento dei palestinesi dal territorio e la creazione di spazi per gli insediamenti dei coloni israeliani. La prassi dell’auto demolizione delle proprie abitazioni, imposta dai colonizzatori aggiunge un trauma psicologico alla perdita materiale dell’abitazione ed all’allontanamento dalle proprie radici, giacché famiglie intere debbono abbattere le loro proprie case per evitare multe o l’arresto. La tolleranza della magistratura israeliana verso accertate violenze compiute da colonizzatori sulla popolazione palestinese e l’assenza di prospettive di un freno o di un termine per tale situazione hanno generato un profondo senso di sconforto, soprattutto tra i giovani cristiani, che si sentono sempre più “indesiderati” nella terra dei loro antenati e cercano opportunità altrove. La guerra psicologica è parte integrante di questa strategia intesa a liberare spazi per gli insediamenti israeliani e genera una sensibile crescita di ricoverati in ospedale, vittime di violenza mentale.

Alla violenza di Gaza ed all’espansione dei colonizzatori nel West Bank, si aggiunge un rilevante fattore di crisi economica per gran parte della popolazione cristiana a Betlemme ed a Gerusalemme, che dipende dalle attività di accoglienza legate ai pellegrinaggi. La guerra, seguita alla crisi della pandemia, ha accentuato il crollo drammatico della presenza di pellegrini, lasciando migliaia di persone senza fonti di reddito. Molti permessi di lavoro per i palestinesi sono stati revocati dalle autorità israeliane. Molte maestranze cristiane-palestinesi sono state sostituite da immigrati di altre parti del mondo. Non ultima ragione va ricercata negli attacchi diretti contro la libertà di culto, negli atti di violenza e nelle discriminazioni contro le persone e nella profanazione di chiese, simboli religiosi e cimiteri da parte di elementi estremisti in particolare dell'ebraismo ultraortodosso che hanno contribuito a creare una minaccia costante per i cristiani.

In senso generale, si può affermare che con il declino della presenza cristiana il Vicino Oriente rischia di veder accrescere la propria instabilità, tanto più che nessuno Stato può considerarsi a sé stante, ma vive in una realtà di stretta interconnessione. La Terra di Gesù, in particolare, dove la nostra fede è nata, ha un motivo in più per temere questo fenomeno e cercare di arrestarlo. L’assenza di una presenza cristiana rischierebbe di ridurre i luoghi della predicazione e passione di Nostro Signore in semplici siti archeologici o turistici. Ma in senso più lato, il suo isolamento e la sua marginalizzazione, da parte di qualsiasi fondamentalismo religioso, sottraggono all’intera regione una fonte di equilibrio sociale ed in definitiva anche politico.

La comunità cristiana dunque guarda all’Ordine del Santo Sepolcro come ad un indispensabile appoggio. Occorre rispondere responsabilmente al pericolo, nel quadro della missione assegnataci dal Santo Padre di sostenere la presenza cristiana in Terra Santa. Dobbiamo assumere la consapevolezza di questo fenomeno e studiare forme di contrasto efficaci. Più che giustificato appare in questo contesto, l’appello del Patriarca di Gerusalemme dei latini e Gran Priore dell’Ordine, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, a compiere ogni sforzo nella formazione educativa delle nuove generazioni e nell’offrire loro dignitose opportunità di lavoro: solo con questo sostegno, oltre che con la nostra preghiera, questa piccola ma essenziale minoranza di fedeli potrà maturare la forza e l’autostima necessarie per comprendere il significato della propria presenza in quanto cristiani in questi Luoghi Santi. Ciò comporta un impegno sempre più forte da parte dell’O rdine del Santo Sepolcro a fianco del Patriarca, nel suo ruolo formativo, educativo e di assistenza sociale, rivedendo se necessario le forme del proprio supporto umanitario e della gestione delle emergenze.

*governatore generale dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro

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04 settembre 2025, 20:40