Rimini 2025 e i costruttori di dialogo, tra libertà religiosa e dignità umana
Guglielmo Gallone - Rimini
“Ogni attentato al libero convincimento religioso, ovunque e comunque perpetrato, è negazione della democrazia e offesa alla libertà del pensiero, alla dignità di ogni popolo e di ciascun essere umano”: in un tempo segnato da conflitti e forme di intolleranza, è da questa forte, coraggiosa consapevolezza che Davide Dionisi, inviato speciale del Ministro italiano degli affari esteri e della cooperazione internazionale per la promozione della liberta? religiosa e per la tutela delle minoranze religiose nel mondo, è partito per raccontare al Meeting di Rimini la sua esperienza nel panel dedicato ai “Costruttori di dialogo, libertà religiosa e pace”, moderato da Andrea Avveduto, Pro Terra Sancta, Consulta Italiana per la Libertà Religiosa.
Non tutte le religioni sono uguali
Una missione tutt’altro che facile di fronte a un contesto geopolitico in costante mutamento, specie perché, ha esordito Jean-Paul Vesco, arcivescovo metropolita di Algeri, “quando ci domandiamo se esiste la libertà religiosa in un Paese, ci aspettiamo una risposta positiva oppure negativa, ma non è così. La questione è molto più complessa”. Anzitutto, ha spiegato Vesco, “la libertà religiosa è un concetto recente, proprio del mondo post-moderno in cui l’individuo può decidere tutto ciò che vuole, anzi ha il diritto di farlo. Oggi molti possono decidere di cambiare religione, cosa un tempo impensabile. E la libertà religiosa s’inserisce proprio qui: parlare di libertà religiosa vuol dire accettare il cambiamento di religione. Questo è il primo punto: noi dobbiamo accettare che qualcuno può trovare una verità diversa dalla nostra”. Di riflesso, il cardinal Vesco è giunto a un secondo punto: “Questa libertà dipende dal ruolo svolto dalla religione nella società. Una religione meglio inserita nello strato sociale favorisce una maggiore accettazione della libertà religiosa. Qui sorge però una domanda: perché l’Occidente da un lato mette ai margini il fattore religioso ma dall’altro intende ergersi a difensore della libertà religiosa? Siamo diventati più aperti? O ciò avviene proprio perché la religione svolge ora un ruolo marginale?” Domande complesse che, riprende Vesco, “non possono a loro volta non tenere conto del ruolo che la società dà alla religione. Cristo non ha voluto creare una religione che plasmi la società. C’è una distinzione tra la vita di fede e la vita della società. Ma questo non vale per tutte le altre fedi perché, quando si parla di religione, non si parla ovunque della stessa cosa. Tuttavia, ciò che dobbiamo ricordare, indipendentemente dalle singole distinzioni, è di abbattere il proselitismo: affinché ci sia libertà religiosa, non deve esserci volontà di cercare di convertire l’altro. Si può testimoniare, si può rispondere alle domande, si può annunciare il Vangelo, ma il modo entro cui farlo non può ledere la libertà altrui”.
La dimensione sociale della vita cattolica
Anche perché, ha chiarito Massimiliano Tubani di Aiuto alla Chiesa che Soffre, “la vita cattolica non può essere limitata alla libera frequentazione della messa. Se crediamo alla dottrina sociale della Chiesa, allora crediamo a una dimensione che si amplia oltre le prospettive esclusivamente ecumeniche, arrivando a quelle sociali, politiche, culturali. Questo, purtroppo, specie nei Paesi autoritari, non è possibile. La libertà religiosa resta dunque un indicatore decisivo della tutela della dignità umana”. Cosa fare allora per garantirla? “In ambito occidentale – ha aggiunto Tubani – non dobbiamo pensare che le sue limitazioni caratterizzino solo Paesi lontani da noi. Divenendo più sensibili dentro la nostra società, lo saremo anche verso i Paesi lontani e così potremo offrire sostegno spirituale e sociale a chi soffre”. Ecco dunque emergere un modo per, riprendendo lo slogan del Meeting, costruire con mattoni nuovi nei luoghi deserti.
Il valore dell’educazione
Affinché ciò avvenga, Mauro Giacomazzi, Focal Point Educazione di AVSI, ha ricordato il valore dell’educazione e la necessità di una gratuita vicinanza: «Sono stato in Uganda per vent’anni durante la guerra civile – ha raccontato – e in quel contesto AVSI e Caritas sono state le uniche presenze stabili. Da 128 organizzazioni umanitarie attive nel Paese siamo rimasti in 2. Eppure, col tempo i giovani ci riconoscevano un ruolo decisivo nella loro crescita, perché si sentivano accompagnati. Questo è il nostro scopo: poter incontrare uno sguardo che ci attrae verso l’invisibile e ci permette di rendere visibile l’invisibile”. Per Giacomazzi, questa fedeltà è la ragione per cui AVSI sceglie di restare anche nei luoghi più difficili: “Non possiamo abbandonare le persone che guardiamo. Per noi, lavorare con la libertà religiosa significa esattamente questo”.
Mantenere un dialogo aperto
Un obiettivo tracciato anche da Dionisi che, dal punto di vista pubblico italiano, ha ribadito come “l’obiettivo era e rimane quello di mantenere un dialogo aperto, trasparente e regolare con le confessioni religiose e con i governi, fondato sul riconoscimento della loro identità e del loro contributo specifico. Tale dialogo è necessario per rispettare i principi di un autentico pluralismo e per la costruzione di una autentica democrazia. Questo perché nelle religioni possiamo vedere la possibile, quanto auspicata, base di un nuovo consenso globale, per la pace internazionale e la sicurezza umana, oggi sempre più minacciate da una crescente competizione per le limitate risorse e da stress sociale”. Perché, ha concluso il biblista Massimo Carlino citando la Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes, “nell’uomo un segno privilegiato dell’immagine divina è proprio la vera libertà.
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