Corea, l’appello dei vescovi: Nord e Sud vivano insieme nella "casa comune"
Guglielmo Gallone – Città del Vaticano
Vivere insieme nella "casa comune" e liberarsi da una divisione che “continua a causare dolore fino ad oggi”. È questa la speranza dei vescovi coreani che, a 80 anni dalla divisione della penisola coreana, esprimono il desiderio di libertà, dicendosi pronti a sostenere e partecipare “attivamente agli scambi con la Corea del Nord basati sulla cooperazione e sulla reciprocità”. In un messaggio preparato in occasione dell’odierna giornata di preghiera per la pace e la riunificazione della penisola coreana, promossa dal Consiglio ecumenico delle Chiese, la Commissione speciale per la Riconciliazione nazionale della Conferenza dei vescovi cattolici coreani – riporta l’agenzia Fides – sollecita a unire le forze “per operare congiuntamente con quanti desiderano che Nord e Sud vivano insieme nella ‘casa comune’”, invitando i fedeli a pregare affinché la grazia di Dio risani il dolore della divisione.
“Dopo 35 anni di sofferenza vissuti durante il periodo coloniale giapponese”, si legge nel documento, “la nostra nazione aveva finalmente raggiunto la liberazione grazie alla Provvidenza di Dio e alla protezione della Santa Vergine Maria. Purtroppo, la gioia della liberazione è durata poco, e la divisione che ne è seguita continua a causare dolore fino ad oggi”. La Chiesa, indicano ancora i vescovi, è chiamata a operare “per tramandare un regno di pace alle generazioni future”, una pace che non nasca “dal sottomettere l'altro con le armi e la forza militare, in un clima di sfiducia e odio”.
Un anno speciale per la Corea
La preghiera per la riunificazione pacifica della penisola coreana si svolge ogni anno nella domenica che precede il 15 agosto, festa della liberazione dal dominio coloniale giapponese, e oggi ha avuto luogo presso la Chiesa presbiteriana di Yeondong, a Seul, in un anno speciale per la penisola asiatica: nel 2025 ricorrono sia l’ottantesimo anniversario della liberazione della Corea, sia il settantacinquesimo anniversario della guerra di Corea. Il 15 agosto 1945 è una data che accomuna tutti i coreani: posta alla base di un fattore umano essenziale come quello dell’affermazione dell’indipendenza nazionale e della conseguente cacciata dell’invasore, essa segna la fine dello spietato dominio coloniale giapponese. Un periodo iniziato nel 1910, caratterizzato sì da dure repressioni e da un’assimilazione forzata, le cui vittime sono state anzitutto le jūgun ianfu (le donne di conforto), ma anche da unità tra il nord e il sud della penisola, accomunate dalla speranza di una nazione libera contro l’invasore. Questo sentimento pesa ancora e rende i rapporti con Tokyo più complessi di quanto si voglia far credere, anche da parte di Seul. Il settantacinquesimo anniversario della guerra di Corea riporta invece alla memoria la frattura della penisola: tre anni di guerra, milioni di morti, ma soprattutto nessuna pace. Il conflitto si è concluso nel 1953 con un armistizio che ha inaugurato una tregua. Da allora, questa sospensione mai risolta continua a minacciare la stabilità della regione e dell’intero equilibrio geopolitico globale.
L’unificazione non come opzione ma come obiettivo
Sono dunque l’indipendenza e la consapevolezza della necessità della pace i fattori su cui fanno leva le Chiese coreane per promuovere l’unificazione, da sempre definita "non un’opzione, bensì un obiettivo". Tanto è stato fatto in questo senso da parte della Chiesa cattolica sudcoreana: dall’istituzione nel 1995 di una Commissione episcopale speciale, ai consistenti aiuti forniti ai nordcoreani durante la carestia degli anni Novanta, fino ad arrivare al Giubileo della riconciliazione nazionale a Chunchon del giugno 2000. Ad aprile una delegazione di vescovi coreani si è poi recata in pellegrinaggio nell’isola di Kyodong, comune di Ganghwa, al confine tra Nord e Sud per pregare per la pace e la riconciliazione, avendo modo di parlare con la prima generazione di sfollati. Nel 2026 ricorreranno inoltre i quarant’anni dalla prima Eucaristia condivisa tra le Chiese della Corea del Nord e della Corea del Sud tenutasi a Glion, in Svizzera.
Piccoli gesti ma simbolici
"La Corea del Nord e la Corea del Sud hanno vissuto per secoli come un unico Paese, una sola nazione e una sola cultura", ha detto in un’intervista all’agenzia Fides monsignor Chung Soon-Taick, arcivescovo di Seul, amministratore apostolico di Pyongyang e presidente del comitato per la riconciliazione, aggiungendo che "per superare conflitti e divisioni, dobbiamo prima tendere la mano, come ci ha detto Gesù: 'Date loro voi stessi da mangiare'". Il presule ha poi fatto leva su decisioni politiche piccole ma simboliche: la Corea del Sud ha rimosso le restrizioni ai rapporti privati con i cittadini nordcoreani e ha eliminato gli altoparlanti per la propaganda posti al confine col Nord, mentre Pyongyang ha smesso di trasmettere rumori inquietanti alla frontiera.
Un anno instabile
Diversamente dagli attori geopolitici che hanno interesse nel dividere la penisola coreana, le Chiese locali ribadiscono ancora una volta che la soluzione ai problemi passa per la riconciliazione e l’unificazione. E lo fanno ben consapevoli dell’anno inedito che tanto il Sud quanto il Nord stanno affrontando. Seul ha visto prima il suo ex presidente annunciare una legge marziale e poi essere arrestato due volte con l’accusa di abuso di potere, insurrezione e alto tradimento. Pyongyang continua invece a legare la sua proiezione geopolitica al sentimento antioccidentale e all’alleanza con la Russia, rischiando però di isolarsi ulteriormente e di non risolvere i problemi sociali ed economici con cui fa i conti da sempre.
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