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Gaza, alla ricerca di aiuti alimentari Gaza, alla ricerca di aiuti alimentari

Gaza, padre Romanelli: ogni giorno qui diventa più difficile

Il parroco della Sacra Famiglia denuncia l’aggravamento di una situazione già allo stremo. Aiuto umanitario inesistente, caldo soffocante e prezzi esorbitanti dei generi alimentari rendono ormai impossibile la vita nella Striscia. Solo la fine della guerra darà “un vero segno di speranza”

Jean-Benoît Harel – Città del Vaticano

“A Gaza manca tutto": lo sconforto di padre Gabriel Romanelli, parroco della Sacra Famiglia, è senza via di uscita, perché la situazione umanitaria nella Striscia è ormai “insopportabile”. Da oltre 630 giorni, la popolazione civile tenta di sopravvivere tra i bombardamenti israeliani e la repressione di Hamas. Domenica scorsa, 29 giugno, l'esercito israeliano ha ordinato ai civili di evacuare decine di quartieri situati nel nord del territorio, in particolare quello della vecchia città di Gaza e il quartiere di Jabaliya. I 500 cristiani, tra cattolici e ortodossi, che vivono all'interno della parrocchia della Sacra Famiglia, non hanno ricevuto l'ordine di partire, racconta il padre Romanelli, che ogni giorno teme per la vita dei suoi fedeli.  “Tutta la Striscia di Gaza è un teatro di guerra, non c'è un posto più sicuro dell'altro". E i bombardamenti continuano anche vicino alla chiesa, traumatizzando la comunità che, dall’inizio della guerra, ha già contato diversi morti.

La legge del più forte

A fine maggio, Israele aveva annunciato la revoca del blocco della Striscia di Gaza e l'arrivo dell'aiuto umanitario attraverso una fondazione controversa controllata dagli israeliani e dagli americani. "Non è la soluzione - reagisce il parroco - non c'è un solo centro di distribuzione, il più vicino è a sud di Gaza, fuori dalla città". I 500 rifugiati della parrocchia vivono delle riserve fatte prima dell'inizio del blocco all'inizio di marzo 2025. "Ma ogni giorno diventa più difficile perché non arrivano nuove forniture umanitarie", prosegue il religioso. Inoltre, l'aiuto che arriva a goccia, e in modo disorganizzato, viene talvolta rubato dalle popolazioni affamate. "Senza un sistema organizzato, viene applicata la legge del più forte, e chi va a cercare l'aiuto mette in pericolo la sua vita, come è accaduto a decine di palestinesi che la vita l’hanno persa.

Un'inflazione senza limiti

Oltre alla scarsità dell'aiuto alimentare, è quasi impossibile approvvigionarsi nei mercati locali. Mancando quasi del tutto la produzione locale, sono esplosi i prezzi degli alimenti importati: 15 euro un chilo di pomodori (60 shekel), 75 euro un chilo di zucchero (300 shekel). A tutto questo va aggiunto il caldo soffocante, che raggiunge i 40° C,   e un'umidità che rendono difficile la permanenza dei 500 cristiani all'interno della parrocchia, soggetta anche alle interruzioni delle reti di comunicazione per interi giorni.

Dare un segno di speranza

Di fronte a questo dramma, i cristiani di Gaza. "Cerchiamo di continuare la nostra vita di preghiera, di servizio ai malati, ai feriti, agli anziani, e anche di fare attività per i bambini", prosegue Romanelli. Le celebrazioni liturgiche, i giochi e diverse altre occupazioni ritmano così la vita dei bambini gazawi che vivono nella parrocchia. Sebbene la parrocchia non sia più sicura di altri edifici, le famiglie cristiane hanno lo stesso scelto di rimanere vicino alla chiesa. "Ci sentiamo più protetti presso Gesù", ripetono. Ciò che però resta più urgente, conclude Romanelli,  è la fine della guerra, "unico segno di speranza per gli abitanti, perché possano ricostruire la loro casa e la loro vita".

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02 luglio 2025, 13:05