Figli su misura: l’eugenetica liberale e la crisi della dignità
Alessio Musio*
Nella discussa Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000) si sancisce il «divieto delle pratiche eugenetiche […] aventi come scopo la selezione delle persone». Già nel 2001 Jürgen Habermas si chiedeva, però, se queste idee della “vecchia Europa” non fossero ormai superate di fronte alla possibilità, non solo di ‘generare con riserva’ data dalla diagnosi pre-impianto, ma anche di eliminare la casualità del combinarsi delle serie cromosomiche nel momento della generazione per mezzo dell’ingegneria genetica. La sua denuncia resta attuale: almeno in Occidente l’eugenetica non è più opera dello Stato, ma deriva anche dalle scelte private di individui e coppie che, affidandosi alla tecnologia, programmano le caratteristiche genetiche dei figli, dividendo l’umanità tra programmatori e programmati e mettendo in crisi la possibilità per quest’ultimi di riconoscersi nel loro corpo.
Negli anni le reazioni alle tesi di Habermas hanno spesso minimizzato il problema, come se l’aggettivo “liberale” bastasse a neutralizzare il peso del sostantivo “eugenetica” invece di indicare solamente la via attraverso cui la sua logica disumana continua ad agire. Già Michel Foucault, per altro, aveva colto il possibile nesso tra l’ingegneria genetica e l’ideologia del capitale umano: se il corpo cessa di essere l’espressione del sé e diventa un valore commerciale, anche la programmazione genetica dei figli finisce per apparire per i genitori come un irresistibile investimento economico. Sul piano del Magistero, numerosi documenti bioetici (dall’Evangelium Vitae alla Dignitas Personae, fino alla recente Dignitas Infinita) avevano saputo cogliere e denunciare questa deriva prendendo sul serio le novità rese possibili dalle tecniche della fecondazione in vitro.
Nondimeno, per rispondere con radicalità all’idea, distruttiva della democrazia ma ampiamente coltivata, di un diverso valore antropologico fra gli esseri umani, il riferimento più potente resta l’Enciclica di Giovanni Paolo II Redemptor Hominis, in cui si ricorda come l’Incarnazione neghi ogni possibile gerarchia di valore sul piano antropologico, visto che con essa Cristo si è unito in modo misterioso ad ogni uomo. “Non si tratta però dell’uomo ‘astratto’, ma reale, dell’uomo ‘concreto’, ‘storico’ […], di ‘ciascun’ uomo, perché ognuno è stato compreso nel mistero della Redenzione, e con ognuno Cristo si è unito, per sempre, attraverso questo mistero […]. Perché […] con l’uomo – ciascun uomo senza eccezione alcuna – Cristo è in qualche modo unito” (Redemptor hominis, 1979). Sicché è proprio la logica cristiana dell’Incarnazione a rendere impossibile ogni logica selettiva e gerarchica sul piano antropologico. L’ethos europeo tenta ancora di conservare traccia di questa visione, ma rischia di smarrirne la radice, proprio perché dimentica che la dignità non può essere programmata ma solo riconosciuta.
*Docente di Filosofia morale e Bioetica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore
Il podcast è di Alessio Musio, curatore della voce: “Figli su misura: l’eugenetica liberale e la crisi della dignità umana” del Dizionario di Dottrina sociale.
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