Incontro interreligioso per la pace in Medio Oriente: recuperare il senso di umanità
Antonella Palermo - Città del Vaticano
"Siamo qui per non restare inerti, passivi". Così il gesuita Massimo Nevola, assistente nazionale delle Comunità di Vita Cristiana (CVX) e della Lega Missionaria Studenti (LMS), ha introdotto l'incontro meditativo interreligioso che si è svolto nella chiesa romana di Sant'Ignazio di Loyola la sera dell'8 giugno con un'assemblea partecipata e attenta. Un'iniziativa significativa che nella solennità di Pentecoste è stata espressione di quel tentativo di dialogo possibile, che intende muovere all'azione, alla consapevolezza, all'impegno nella promozione della pace. Lo sguardo è rivolto alla guerra in Medio Oriente dove si sta consumando una carneficina, analizzata attraverso le lenti della storica ebrea Anna Foa, della pastora valdese Maria Bonafede, del teologo islamico Hamdan Al Zegri, della suora Genevieve Jeanningros, del cristiano maronita Andre Haddad, in collegamento da Gerusalemme. Le testimonianze si sono alternate a momenti di silenzio, letture, musica.
Foa: sostenere chi dissente dal governo israeliano
Ebrea della diaspora, la storica Anna Foa - collegata da remoto - ha ammesso che le sue idee sono ormai considerate nel migliore dei casi quelle di un outsider, “nel migliore dei casi, quelle di una traditrice”. C’è un’idea che lei definisce “strana” e molto diffusa, frutto dei fatti del 7 ottobre 2023, per cui Israele sia in pericolo. "In realtà, in questo momento, chi è in pericolo sono i palestinesi di Gaza e quelli dei territori occupati”, ha spiegato sottolineando che attualmente è in crisi la nostra percezione dell’umanità: "Quello che sta succedendo è un terribile crimine contro l’umanità". Foa ha ricordato il tributo offerto dai giornalisti a Gaza: ormai solo gli interni possono documentare ciò che avviene, a causa dell'impedimento da parte di Israele di far entrare gli stranieri nella Striscia. Si sta morendo di fame, i feriti non possono essere curati, sono ridotti allo stremo: "Quello che sta succedendo è qualcosa che supera il verosimile. È una guerra sanguinosa e indicibile, non si può quasi raccontare", ha affermato. "Bisogna fare di tutto, spiegare ai propri figli il significato delle parole, parole che troppo spesso sono agitate come dei vessilli, invece vanno analizzate bene. È in corso una espulsione etnica. Succederà anche in Cisgiordania. Lo Stato di Israele deve sopravvivere, ma bisogna cambiare il modo di porsi di fronte alla realtà".
Foa ha ricordato che ci sono cortei di ebrei e palestinesi che si recano alle porte di Gaza per protestare, questi movimenti esistono e si danno da fare per denunciare il proprio dissenso: "Dobbiamo cercare di appoggiarli. Tutto il mondo deve appoggiare questo tentativo di suscitare una reazione nella società civile. Abbiamo visto le manifestazioni di ebrei nelle vie di Tel Aviv e Gerusalemme con le foto di bambini palestinesi assassinati". All’azione dei livelli diplomatici di riconoscere uno Stato palestinese, ha incalzato la studiosa, deve affiancarsi la sollecitazione della società civile. Da una prospettiva laica, la sua, che ha esplicitato dicendo “io non so pregare”, la Foa ha riconosciuto pubblicamente il valore inviolabile dell’umanità dell’altro, bene troppo prezioso da custodire. “Dobbiamo unire tutti le nostre forze - ha rimarcato - per dire: noi non siamo indifferenti, una tragedia inenarrabile si sta consumando sotto i nostri occhi”.
Bonafede: fermare la spirale dell'odio, superata ogni misura
L’intervento della pastora valdese Maria Bonafede ha avuto un tono pacato ma determinato, di chi attinge alle Scritture per incarnarle nell’oggi tremendo che si vive: “Siamo di fronte a guerra piena di odio che ha davanti gli occhi di tutto il mondo e non riesce a fermarsi”. Ha condiviso il versetto del Salmo 121, salmo della fiducia che ha consolato intere generazioni di tutti i secoli: Alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra. “Dobbiamo immaginarci una lunga pausa tra la domanda e la risposta”, ha osservato Bonafede. È la pausa del silenzio, dell’attesa, della ricerca. Oggi, ha rilevato, sembra non esserci quell’automatismo nella risposta: siamo di fronte all’annientamento, a “occhi disperati che accompagnano questa guerra fin dal suo nascere dopo l’orrendo attentato di Hamas”. E ha sottolineato quello “spessore insopportabile della mancanza di senso”, evidenziando che tra la domanda posta nel Salmo e la risposta c’è lo spazio del prendere atto che la risposta si fa attendere. La vita, infatti, ci “pone domande che rischiano di rimanere aperte. Il male non è altro da noi; noi umanità del ventunesimo secolo, in questa guerra, se c’è ne fosse stato bisogno, riscopriamo che ne siamo capaci”.
“Lo spazio tra interrogativo e risposta deve essere lo spazio per contrastare il male e tentare di vincerlo, di invocare giustizia piangendo, uno spazio per fremere di fronte al male”, ha proseguito la pastora. E si pone in mezzo a quella “scia di persone che non vogliono vivere con gli occhi bassi”. Pertanto ha incoraggiato a sostenere chi organizza spazi di dialogo, incontri tra le culture, come anche ascoltare i parenti degli ostaggi che chiedono al governo israeliano di smettere i bombardamenti su un popolo affamato. “Come amica di Israele - ha precisato - penso che è necessario fermare l’odio perché la misura della ritorsione del governo israeliano è fuori da ogni legittimità. Il male è davvero troppo, anche quello dell’antisemitismo che sta crescendo, ma proprio per questo bisogna ascoltare la voce di chi sostiene le risoluzioni della comunità internazionale”. E ha ricordato che ci sono progetti frutto dell’impegno nel far incontrare palestinesi e israeliani, persone che vogliono che la spirale di odio si fermi. Sono questi semi di bene che vanno fatti propri con una “preghiera vigile e fattiva”.
Al-Zeqri: la strada della violenza è semplice, ricostruire la dignità
È stato poi un giovane yemenita, musulmano, ad attivare ancora parole di dialogo autentico. Hamdan al-Zeqri, membro dell’UCOI (Unione delle Comunità islamiche d’Italia), ricordando un principio: “La nostra gratitudine al Creatore non arriva se prima non arriva al fratello”. Rammenta stermini dimenticati, per esempio in Africa, “di cui ancora nessuno ha chiesto perdono”. Il giovane ha puntato il dito contro la ricerca ossessiva del progresso economico basato anche sul commercio degli armamenti. Ha citato l’amico don Ciotti, ‘ci commuoviamo ma non ci muoviamo’, per incalzare: “Invece bisogna muoversi”. Lui stesso ha sperimentato cosa sia la guerra sulla sua pelle: da anni vive nella comunità cattolica di Vicchio, nel Mugello, fondata dal gesuita monsignor Paolo Bizzeti, e si impegna nell’educazione alla pace, sull’insegnamento di don Milani. "Credo ancora nell’umanità, credo ancora nella pace. Perché ogni persona merita di vivere in libertà. A Gaza la gente è umiliata, affamata, bombardata". Ha raccontato di come all’età di 8 anni sentiva il rumore delle bombe, ferite indelebili. "La memoria ci deve insegnare che certe cose non devono più ripetersi. Perché la strada della violenza è molto semplice, in realtà". E ha citato l'importanza del firmato ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dal Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb. Al-Zegri ha insistito sulla necessità di custodire la vita umana, perché "la guerra distrugge il passato, brucia il presente e annulla il futuro. La nostra Costituzione la dobbiamo avverare, passare dal testo al contesto". E infine rammenta ancora le parole di Francesco quando parlava di essere “tessitori di speranza”. Bisogna ricostruire la pace. Riecheggiata, infine dal suo intervento, la prospettiva di don Erneto Balducci, il quale spronava ad essere 'uomini planetari', con un radicamento nel proprio luogo, sempre pensando al mondo, ad un orizzonte più vasto.
Haddad, da Gerusalemme: la guerra non porta alla pace
La pace comincia amando chi è diverso. È quanto ha condiviso suor Genevieve Jeanningros, per oltre mezzo secolo impegnata in una pastorale di prossimità con i circensi: "Ognuno di noi può lavorare per la pace, loro me lo hanno insegnato". Nel ricordo della particolare amicizia con Papa Francesco, la religiosa si è soffermata sull'impegno nel quotidiano a favore dell'incontro con lo straniero: "Quello che ci è chiesto è vivere da amici, non da stranieri. Ho passato 55 anni con i giostrai ed è stato bellissimo, non sempre facile, ma bello. Vale la pena". A suggellare l'incontro, è stato il palestinese Andre Haddad, cristiano maronita, in collegamento da Gerusalemme. È stato ospite, in passato, della Comunità di Sant'Ignazio a Roma, assieme a un gruppo di giovani da Gerusalemme, lavora al Patriarcato latino di Gerusalemme. Dal nord della Città Vecchia, dove attualmente si trova, vive una tensione continua che ha voluto condividere con i presenti all'incontro. "Ho capito che la guerra non porterà mai a soluzioni positive. Pensiamo che con le armi possiamo raggiungere la pace, invece no. Qui non c’è una tranquillità, non c'è per nessuno. Nessuno vuole cedere, accettare di fare un passo indietro. Le armi stanno giocando a scapito della povera gente". Haddad ha insistito sul fatto che non si può dichiarare che si vince una guerra a scapito di migliaia di bambini uccisi: "La guerra porterà semmai a far conservare qualche poltrona a qualcuno ma non porterà mai alla pace".
A conclusione della serata il gesto di Maria Bonafede e Suor Genevieve che, tornate al leggìo, si sono prese per mano e hanno recitato il Padre Nostro, per poi abbracciarsi. Ora tocca a ciascuno portare la fiaccola di un impegno, oltre ogni frontiera.
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