Camerun, il lavoro della Chiesa per favorire percorsi di pace
Luca Attanasio – Città del Vaticano
A segnalarti quel confine invisibile che in Camerun divide la regione francofona da quella anglofona non ci sono frontiere, ci pensa la strada. Dopo un percorso relativamente agevole, ti accorgi di aver passato un limes fortemente politico più che geografico, dai terribili contraccolpi che la macchina su cui viaggi subisce a causa di buche enormi. Passata Mbouda, ultimo angolo francofono, si entra in un’area che si differenzia in tutto dal resto del Paese — lingua, sistemi scolastico e legislativo, e cultura — sulle cui istanze indipendentiste Yaoundé esercita il suo contrasto, anche lasciando le strade in totale disarmo. La stessa Bamenda, capitale delle regioni anglofone, con i suoi 2 milioni di abitanti circa, deve fare i conti con mille difficoltà, tra cui le infrastrutture. Ma strade e logistica, qui, sono l’ultimo dei problemi.
La nascita di Ambazonia
Da quando nell’ottobre del 2017 i gruppi paramilitari indipendentisti hanno decretato la nascita dello Stato Federale di Ambazonia, l’intera area è precipitata in un caos spaventoso che in pochi anni ha causato migliaia di morti, un numero spropositato di rapimenti e circa 800.000 sfollati, rendendo questa zona una tra le crisi peggiori e più ignorate del mondo. Da una parte ci sono i cosiddetti “Amba Boys”, che uccidono, compiono attentati, taglieggiano e rapiscono, dall’altra c’è la brutalità dell’esercito, che rade al suolo interi villaggi per il semplice sospetto di fiancheggiamento. In mezzo una popolazione civile che vive da anni nel terrore. Le ultime notizie parlano di quattro persone uccise in varie sparatorie nei pressi di Bamenda, l’ultima il 15 giugno, presumibilmente per mano di splinter group (ovvero, fazioni) indipendentisti.
L’impegno della Chiesa cattolica
«Il problema in tutta la regione persiste», spiega ai media vaticani Andrew Nkea Fuanya, arcivescovo di Bamenda e dal 2022 presidente della Conferenza episcopale del Camerun. «Abbiamo ancora tanti casi di rapimenti e richieste di riscatto, le torture continuano e la popolazione vive ancora nella paura, ma la situazione è migliorata molto almeno sul piano della vita quotidiana. Molti studenti ora vanno a scuola regolarmente e diverse attività commerciali stanno riaprendo (per anni molte scuole in aree sotto il controllo separatista restavano chiuse, mentre i negozi e le attività di tutta la regione erano obbligati a rimanere chiusi ogni lunedì per i cosiddetti “Ghost Mondays”, n.d.r.), ma non possiamo certo dire che il problema sia stato risolto. Ci sono ancora gruppi armati in varie zone e a volte le strade sono bloccate», dice. Esistono vari tentativi di dialogo tra governo e gruppi ufficiali separatisti, ma i progressi sono ancora scarsi e gli anni di conflitto non fanno che allontanare il traguardo della pacificazione. «Purtroppo — riprende Nkea — il dialogo si sta rivelando sempre più difficile a causa della violenza e delle divisioni esistenti anche all’interno dei separatisti. Non ripongo molta fiducia nel fatto che il governo voglia un dialogo con i singoli gruppi, e il nostro timore è lo stallo». La Chiesa cattolica è da sempre impegnata per favorire a tutti i livelli il dialogo tra le parti in conflitto e monsignor Nkea è stato costantemente in prima linea nel perseguire l’obiettivo e mantenere canali aperti con governo e indipendentisti, anche all’estero. In un’area in cui le confessioni cristiane sono molte e coesistono altre fedi, il positivo contesto interreligioso rappresenta un elemento efficace nella via verso la pace. «Come Chiesa cattolica siamo molto coinvolti nella ricerca di una soluzione al problema e lavoriamo fianco a fianco con tanti altri leader religiosi, in particolare della denominazione presbiteriana, della missione battista, gli evangelici, la Chiesa anglicana, così come gli imam di Bamenda e Buea. Abbiamo cercato di parlare sia con il governo che con i leader separatisti all’estero e qui, sul campo. Il dialogo è in corso e puntiamo a raggiungere un compromesso, ma non ci facciamo illusioni, la via resta difficile».
Le elezioni di ottobre
A ottobre, in Camerun, ci saranno le elezioni. Nei mesi scorsi si è aperto un dibatto anche all’interno della Chiesa che ha visto alcuni vescovi criticare una possibile ricandidatura di Paul Biya, 92 anni, alle elezioni del 2025 dopo 42 anni al potere e una salute cagionevole. La Chiesa, in ogni caso, è molto impegnata per chiamare la popolazione al voto. «Stiamo invitando tutti i camerunesi a registrarsi in massa — evidenzia di nuovo Nkea — e la Chiesa cattolica è pronta a inviare osservatori sul campo per monitorare le elezioni. Speriamo e preghiamo che non ci sia violenza e che le elezioni si svolgano in un clima sereno».
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui