Il carisma di Santa Rita nelle opere nate dalla sua canonizzazione
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
La Basilica di Santa Rita, la Basilica inferiore, la Penitenzieria, il monastero delle monache agostiniane: Cascia, piccola cittadina nel cuore dell’Umbria, è uno scrigno di luoghi che conservano preziose pagine di storia, offrono spazi di preghiera e spiritualità e accolgono, ogni giorno, pellegrini e fedeli. Alla loro cura pastorale si dedicano i religiosi agostiniani del Convento Sant’Agostino, affiancati, per tutto l'anno, da una decina di confessori, sacerdoti di svariate nazionalità che periodicamente si alternano e per lo più provenienti da diversi collegi romani. E poi ci sono tante altre realtà: la Fondazione Santa Rita da Cascia, che si occupa delle opere di carità e dei progetti di solidarietà del Monastero Santa Rita; 尝’础濒惫别补谤别, casa di accoglienza e comunità educativa per bambine e ragazze (le apette) provenienti da famiglie in difficoltà ma pure spazio aperto ai più piccoli (i millefiori) per attività didattiche e ricreative; la Pia Unione Primaria Santa Rita, associazione agostiniana che riunisce quanti cercano Dio, sulle orme di Agostino e Rita, promuovendo i valori della famiglia, della pace, del perdono e della riconciliazione, diffondendo la devozione e il culto di Santa Rita, collaborando con le attività e le iniziative della basilica, del monastero e dell’ordine agostiniano.
Pellegrini da ogni parte del mondo
La quotidianità a Cascia è fatta di incontri, celebrazioni, momenti di preghiera con persone da tutto il mondo, spiega ai media vaticani padre Juraj Pigula, priore del Convento Sant’Agostino. Dopo la canonizzazione avvenuta il 24 maggio del 1900, durante il pontificato di Leone XIII, la fama della "santa dei casi impossibili" si è diffusa in tutti i continenti e oggi in tanti arrivano qui per pregarla dal Libano, dalle Filippine, dall’India, dal Brasile, dalla Polonia e altri Paesi in cui non era molto conosciuta, aggiunge padre Juraj, come la Croazia, la Slovacchia, la Repubblica Ceca. Ma giungono anche pellegrini dall’Africa e dall’Australia. Insomma, “Santa Rita si fa strada attraverso la sua santità”, soprattutto per la sua “spiritualità molto semplice”, prosegue il religioso, perché “lei è donna di pace”, che insegna a perdonare e a confidare sempre in Dio, a pregare incessantemente, senza scoraggiarsi. Per padre Juraj il 125.mo anniversario della sua canonizzazione, celebrato sabato scorso, rilancia il suo messaggio di pace e invita a riscoprire il suo stile di vita che tutti possono imitare, perché, come Rita, “tutti abbiamo dei problemi nelle relazioni, ci arrabbiamo, a volte non ci parliamo nelle famiglie, specialmente per diverse questioni e quindi c'è bisogno sempre di riconciliazione, di perdono”. Inoltre, Rita è stata madre, e quindi suggerisce in che modo educare i figli, e poi il modo in cui ha affrontato la sofferenza “ci insegna a soffrire per amore, non brontolando, ma trasformando il dolore”.
L’opera di madre Maria Teresa Fasce
Ma c’è anche una storia nella storia a Cascia. Non tutti sanno che la Basilica di Santa Rita si deve alla ligure Maria Teresa Fasce, beata, che è stata badessa del Monastero Santa Rita per 27 anni, dal 1920 al 1947, racconta padre Pietro Bellini, sacrista. La sua vocazione è legata alla canonizzazione di Rita. Ha 19 anni all’epoca, quella notizia le fa conoscere la santa agostiniana, ne resta affascinata e decide di donarsi al Signore come lei, nel monastero in cui ha vissuto. All’epoca Cascia era un piccolo borgo di contadini, descrive padre Pietro, nella comunità monastica c’erano poche claustrali, “forse poco istruite, probabilmente vivevano nella miseria”. Maria Fasce, giovane di buona famiglia, che aveva studiato, si trova davanti a questa realtà. Entra come postulante il 6 giugno 1906, ma nel monastero trova un clima di aridità spirituale e nel 1910 decide di lasciarlo per una pausa di riflessione ma vi fa ritorno l’anno dopo. “Lei ha avuto, credo, una conversione interiore - riflette Bellini - è riuscita a spogliarsi di tutta la sua cultura, di tutto quello che era per assimilarsi a queste sorelle e vivere insieme a loro la sua consacrazione”. Così nel 1914 viene scelta come maestra delle novizie e sei anni dopo è eletta, con voto unanime, badessa. “A lei si deve tutto quello che si vede quando si arriva a Cascia”, sottolinea padre Pietro. Diffonde il culto di Santa Rita, promuove i pellegrinaggi, si prodiga per la costruzione di un santuario adeguato all’accoglienza dei fedeli, fonda la rivista “Dalle api alle rose” facendola tradurre in diverse lingue e nella quale lancia una raccolta di offerte, crea 尝’础濒惫别补谤别, una dimora per bambine povere. La madre Fasce si è spenta il 18 gennaio 1947 e le sue spoglie sono state collocate nella Basilica inferiore di Cascia, il 12 ottobre 1997 Giovanni Paolo II l’ha proclamata beata. Per padre Pietro tutto questo mostra che “la santità feconda”, che “la santità di Santa Rita fa diventare sante altre persone”.
Il perdono e la riconciliazione
E proprio tra la Basilica superiore e quella inferiore si trova la Penitenzieria, luogo in cui si celebra il sacramento della riconciliazione e dove ci sono sempre dei sacerdoti per confessarsi. È costituita da cinque sale: quella dell’accoglienza, quella della preparazione, quella delle celebrazioni, quella delle confessioni e quella del ringraziamento. Padre Ernesto Alfonso, angolano, della Congregazione dello Spirito Santo, vi sta svolgendo il suo servizio da tre settimane e condivide anche lui la sua esperienza con i media vaticani. “In un mondo in cui si dice che non c'è più nessuno che trova Gesù, specialmente nel sacramento della riconciliazione, qui, noi vediamo, invece, che la gente si confessa ancora”, dice. I pellegrini chiedono di essere ascoltati, hanno “bisogno non solo di dire i peccati, ma di presentare anche i loro problemi”, “c’è un grido d’aiuto per tante situazioni”, continua padre Ernesto. Il suo bilancio delle ore trascorse nel confessionale è che “c'è la fede” tra le persone. In tanti vengono a Cascia “per ringraziare Dio dei segni concreti” ricevuti, altri per chiedere “la forza di affrontare diversi problemi”, quindi, per il sacerdote della congregazione dello Spirito Santo “il miracolo è già quello di saper convivere con tante situazioni della vita guardando a Gesù, che è la nostra forza, la via, la strada da seguire, la verità e la vita”. È, in pratica il messaggio di Santa Rita: “guardare a Gesù”, perdonare, amare, sperare, “la fede in mezzo al buio della vita”. “È questo che la gente ci fa sentire” nei confessionali, conclude padre Ernesto, “e per noi confessori è un arricchimento: parlare con i fratelli che ci portano queste testimonianze aiuta anche noi a crescere”.
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